Amleto a Gerusalemme e il teatro è ponte tra popoli

In prima a Nordest, Paolini e Vacis insieme al Verdi di Pordenone. Teatro-narrazione che ha visto sul palco anche giovani attori palestinesi

PORDENONE. Attesissimo, e dopo 12 repliche di seguito alle Fonderie Limone per il Teatro Stabile di Torino, dove ha debuttato il 29 marzo, è arrivato in prima Nordest, a Pordenone, il 12 e 13 aprile, “Amleto a Gerusalemme. Palestinian kids want to see the sea”, che riporta sulla scena due fuoriclasse del nostro teatro, Marco Paolini e Gabriele Vacis, tornati insieme dai tempi del celeberrimo Vajont del ’94, il capostipite di tanto teatro-narrazione, e che ha visto sul palco anche un gruppo di giovani attori palestinesi. E il teatro diventa ponte tra popoli.

Centinaia di bottiglie di plastica vuote e uno scenario bianco aprono lo spettacolo “Amleto a Gerusalemme”. La storia di cinque ragazzi che vivono a Gerusalemme è la trama di questo spettacolo, ognuno paragonabile per certi aspetti allo stesso Amleto dell’opera shakespeariana.

I ragazzi, di origine palestinese, narrano le loro vite a Gerusalemme est, rabbia, amore, gioie, dolori, pazzia e sconto tra generazioni : sentimenti umani trattati anche nell’opera shakespeariana. In terra santa trovano vivere le stesse emozioni e situazioni che si potevano vivere al castello di Helsingor, a dimostrazione di un unicità del sentire umano che non consce confini temporali o geografici. Pur vivendo in una città complicata e piena di problemi, i cinque protagonisti non si arrendono al proprio destino, anzi cercano nel bene e nel male di cambiarlo, di mettere di discussione se stessi ma anche ciò che i loro padri hanno scelto per loro.

Per Paolini Gerusalemme è una città magica, che sa di caffè al cardamomo, ma sa anche di plastica, la plastica di una moka che però è sul fuoco da ormai duemila e sedici anni.

Gerusalemme è una città che è stata ricostruita più volte e ogni popolo che l’ha conquistata ha potuto darle un nome ma il primo nome, forse il più bello è Salem, cioè pace ed è proprio quello che Paolini prova mentre cammina per le vie di Gerusalemme.

Secondo Paolini Dio creò la bellezza e la sofferenza e le divise in dieci parti, nove di entrambe andarono a Gerusalemme, la parte restante invece al resto del mondo.

“E’ la paura del paese che troveremo dopo la morte, paese da cui nessuno è tornato, a farci sopportare le angosce dell’esistenza, piuttosto che volare via; è cosi che voglio chiudere questo mio pensiero – dice Paolini - perché forse più che pensare a cosa ci sarà domani dobbiamo pensare a ciò che abbiamo oggi, e anche se viviamo in un paese straziato da guerre o pieno di problemi abbiamo la fortuna di vivere, e questo è un dono di cui non possiamo fare a meno”.

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