Allarme esami in gravidanza: "Alcuni sono inaffidabili"

UDINE. Un semplice esame del sangue per sapere se il figlio che una donna porta in grembo è sano o se invece è affetto da alcune anomalie cromosomiche tra le quali la sindrome di Down. È questa la nuova frontiera dalla genetica. Ma il risultato è affidabile? La risposta è sconfortante. Dipende.
Dipende dalla serietà con cui le aziende che lavorano in questo campo effettuano l’analisi. A gettare il seme del dubbio è un “esperimento” compiuto da un ente governativo inglese, la Boston Fetal Medicine Foundation (studio Wolfberg, accettato dalla Comunità scientifica internazionale) che ha reclutato due donne, nessuna delle quali in attesa di un figlio, e a entrambe ha effettuato i prelievi di sangue necessari.
Sono quindi stati acquistati i test e i campioni inviati alle cinque aziende commerciali che effettuano l’esame. L’esito è stato il seguente: due laboratori (Ariosa Diagnostic, nome del test Armony, e Natera, nome del test Panorama) hanno correttamente comunicato che nel campione non c’era dna fetale; gli altri tre (Labcorp, Sequenom e Verinata) hanno comunicato l’esistenza di un feto normale.
Scopo dell’inganno era richiamare l’attenzione sui necessari requisiti per garantire un risultato affidabile, come la rappresentazione della frazione fetale oppure il rischio residuo nel referto e non un semplice risultato positivo/negativo.
È intuibile che un esame che consente alle donne di poter accertare la salute del feto senza dover fare ricorso, ad esempio, ad amniocentesi e villocentesi (esami diagnostici conclusivi in ambito prenatale), ma esponendosi a un rischio, seppure minimo, di perdere il bambino, è molto interessante, e il mercato in costante crescita di questi test genomici, ne è la dimostrazione. Il punto è che, probabilmente, non esistono al momento criteri standard né certificazioni di qualità tali da uniformare il comportamento di aziende che sono molto attente al business, meno al servizio che intendono offrire.
Ma come mai è possibile effettuare un test sul feto prelevando solo il sangue della madre? Accade perché ad un certo punto della gravidanza la placenta rilascia del materiale fetale con il Dna del feto. Sequenziando il Dna e applicando alcuni algoritmi, è possibile desumere se siano presenti cromosomi in più o in meno rispetto alla norma. I test in commercio sono esami di screening e non diagnostici ma soprattutto non sono sostitutivi di amniocentesi o villocentesi, e consentono di analizzare variazioni numeriche di alcuni cromosomi, 21, 18 e 13. Questi limiti fanno sì che alcuni ginecologi non li ritengano affidabili con nessuna finalità diagnostica e dopo lo studio di Wolfberg in effetti qualche dubbio è lecito porselo, perché i falsi negativi sono veramente dietro l’angolo.
Per questo molti professionisti hanno selezionato i laboratori a cui rivolgersi, e li utilizzano in casi particolari, in cui un esame invasivo come l’amniocentesi o la villocentesi potrebbe rappresentare, per la donna, un rischio eccessivo.
«Faccio uso di questi test - afferma infatti Marco Gergolet, specialista in ostetricia e ginecologia, già direttore sanitario dell’ospedale di Šempeter e oggi collaboratore del Sanatorio Triestino - ovviamente è necessario sapere in che mani ci si mette. Qualche anno fa era stato inviato ad alcuni laboratori del the spacciandolo per urina e chiedendone l’analisi. Quel risultato, però, non ha invalidato l’esame in sè».
L’attendibilità «non è assoluta - conferma Gergolet - e la certezza oggi ce la dà solo la villocentesi, ma credo anche che tra 4/5 anni le amniocentesi saranno rarissime». Il test Nipt (Non-invasive prenatal testing) viene suggerito «a donne che hanno avuto molta difficoltà a concepire e per le quali non è accettabile il rischio di complicanze legato all’amniocentesi - prosegue Gergolet -. È inutile invece per coloro alle quali non interessa conoscere eventuali anomalie del feto. Se si tratta di giovani donne è sufficiente la misurazione della plica del feto posta dietro la nuca attraverso l’ecografia; questo dato insieme a un prelievo di ormoni e a una elaborazione effettuata con il computer, fornisce una ragionevole risposta sul rischio».
«No, non suggerisco il Nipt - è la posizione di Valter Adamo, primario di ostetricia e ginecologia al Santa Maria degli Angeli di Pordenone - e non lo farò fino a quando l’Aifa e il ministero della Salute non si saranno espressi in proposito. Se mi consente il paragone, è come Medjugorje: si dice che molti siano i miracoli, ma il Papa ancora non si è pronunciato. Ci possono essere modi diversi per fare le cose, ma uno per farlo bene - conclude Adamo -, e questo accade quando la comunità medica mette a punto protocolli, modalità con cui eseguire certi esami affinchè diano risultati certi e affidabili per il bene della paziente, non per il business. Per i test Nipt questo ancora non c’è».
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