«Aiutiamo la gente sulla strada del miglioramento civile e sociale»

Le testimonianze dei soldati nostrani a Camp Arena «Ci manca la famiglia, ma con internet è tutto più facile»

Camp Arena è la base dov’è situato il contingente italiano in Afghanistan. Al centro della piazza si fa l’alzabandiera, attorno, un monumento ai nostri 55 caduti in quel Paese, una Madonnina, la mensa, lo spaccio e il capannone dove si tengono messa e cerimonie. Qui passano e si incontrano i pordenonesi mentre vanno dagli alloggi di servizio a quelli di lavoro.

Tra questi c’è Stefano Roman, luogotenente di San Vito al Tagliamento. È effettivo al 5° Aves Rigel di Casarsa e a Herat lavora alla componente elicotteri della Task force Fenice. «Mi occupo delle attività connesse all’ingresso e all’uscita dal teatro operativo del personale che appartiene all’Aviazione dell’Esercito», spiega. «Proprio perché ero stato qui più volte in passato, sapevo che ambiente di lavoro e la situazione che avrei trovato. Mi piace lavorare qui. Professionalmente c’è il riconoscimento del buon lavoro svolto. Ho trovato poi un Paese in lento, ma costante miglioramento».

Da San Vito proviene anche il maresciallo capo Corrado Agricola dell’Esercito. Lavora nelle Trasmissioni e si occupa della sicurezza delle comunicazioni al comando della Brigata. «Prima di partire ci siamo addestrati simulando lo scenario di reale impiego. Durante questo periodo ognuno di noi stabilisce un collegamento diretto con il collega che andrà a sostituire sul campo e questo permette di avere una situazione sempre aggiornata su tutto ciò che succede». La soddisfazione comunque è tanta perché «mi sento parte di un’organizzazione che aiuta un popolo martoriato da molti anni e, purtroppo, meno fortunato di noi. È la prima volta che trascorro il Natale in missione. Non nascondo che la nostalgia della mia famiglia è tanta. Quando sei in missione i colleghi diventano la tua famiglia».

Originario di Porcia, ma residente a Fontanafredda è il maresciallo capo Pierluigi Colautti dell’Esercito. Alla sua quinta volta ha trovato «un ambiente esterno sicuramente più stabile. Herat è una delle province più occidentalizzate del paese, sebbene ci siano ancora enormi differenze tra città e zone rurali”. Durante le feste «c’è un po’ di malinconia, ma grazie alla tecnologia e a internet, oggi la distanza da casa è minore. La sera della vigilia è stato organizzato in mensa un buffet prima della messa e poi un sobrio brindisi, al quale però non ho partecipato perché la mattina seguente iniziavo presto il servizio. Questo è prioritario e deve essere garantito nonostante le festività».

Prima missione all’estero per il maresciallo Serena Di Cosmo dell’Esercito, residente a Pordenone, effettiva al reggimento logistico di Maniago. «Tutto qui per me rappresenta una novità e, di conseguenza, un’opportunità per poter crescere non solo dal punto di vista professionale ma anche da quello umano». Per lei l’importante e sapere di contribuire al buon esito di una missione importante. «Ho trovato l’Afghanistan una realtà molto diversa da quella italiana. Come ogni cultura, anche quella afghana si distingue per i propri usi e costumi, allo stesso tempo però si presenta come un luogo dove la pace non è cosa scontata». Primo Natale in missione. «Questo comporta un sacrificio enorme, perché si è lontani da casa. Tuttavia il senso della festività si fa ancor più forte, proprio perché si comprende ancor di più il valore che i nostri affetti hanno nelle nostre vite e senza i quali non saremmo in grado di affrontare situazioni come quella attuale».

Il tenente colonnello Roberto Moras, di Pordenone, lavora per l’Aeronautica militare al 51° stormo di Istrana. «Le missioni all’estero sono sempre state esperienze di alto livello quanto appassionanti da un punto di vista umano. In più c’è una gratificazione: la percezione di fare la differenza. Il nostro impegno qui è determinante soprattutto nell’ambito civile, una soddisfazione che ci fa sentire di fare la cosa giusta per un popolo che cerca stabilità e condizioni di vita migliori. L’Afghanistan è un paese con una cultura e tradizioni distanti dalle nostre, ma nel contempo con la chiara volontà di crescere e di integrarsi nella comunità internazionale». Il Natale qui assume un significato particolare. «Se il Natale è sinonimo di pace, allora proprio qui in Afghanistan trova la sua massima espressione nella misura in cui ognuno di noi rinuncia un po’ ai propri affetti per contribuire ad assicurare stabilità e pace anche in questo angolo del mondo. Il Natale invece è passato in parte lavorando ma anche festeggiando la ricorrenza con il mio team, tutti assieme. Stare lontano dalle famiglie è una condizione che abbiamo accettato quando ci siamo arruolati, ed è anche un motivo di fierezza e orgoglio per noi e per le nostre famiglie». —

L.Z.

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