Afghanistan, il comando passa agli alpini della brigata Julia
Nella regione ovest ci sono 7 mila militari di 11 nazioni. Gli italiani saranno 4 mila entro l’anno. Il generale Bellacicco: il sistema Italia funziona, proseguiremo nel solco di chi ci ha preceduto

HERAT.
È stata una missione difficile, quella degli alpini della Taurinense in Afghanistan. «Sei mesi durissimi»,ammette il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto, volato a Herat nel giorno in cui la brigata alpina Julia, guidata dal generale Marcello Bellacicco, assume il comando della Regione ovest di Isaf, la missione della Nato: un contingente di 7.000 militari di 11 nazioni, tra cui 3.600 italiani, che diventeranno 4.000 entro la fine dell’anno. «Proseguiremo nel solco tracciato da chi ci ha preceduto - ha detto il neo comandante della regione occidentale dell’Afghanistan».
«Il sistema Italia che tanti successi sta riscontrando - ha continuato - proseguirà con gli uomini della Julia che saranno nei prossimi sei mesi impegnati a contribuire al miglioramento della sicurezza nell’area».
Sei mesi di fuoco, per gli alpini del generale Claudio Berto, che hanno battuto a tappeto un’area grande quanto tutta l’Italia del nord, popolata da tre milioni di abitanti, con diversi distretti ad alta, o altissima, densità talebana.
Come sempre i numeri rendono l’idea meglio di tante parole. Gli attacchi subiti, di vario tipo, sono stati oltre 200. Sessantuno ordigni sono stati neutralizzati, ma in cinque casi non è stato così: gli “Ied” sono esplosi e, due volte, hanno ucciso. In una ventina di situazioni critiche i militari italiani hanno «neutralizzato la minaccia» talebana ricorrendo ai devastanti mortai da 120 millimetri. Per il resto si è trattato di contatti - in gergo “Tic”, Troops in contact - di varia intensità: dal vero e proprio scontro a fuoco (battaglie come quella in cui ha perso la vita l’incursore della Folgore Alessandro Romani) alla semplice scaramuccia senza conseguenze, al colpo isolato sparato giusto per saggiare la capacità di reazione degli alpini. Dieci le vittime italiane, di cui le ultime quattro solo pochi giorni fa, nell’imboscata di Farah.
«Sei mesi durissimi», ripete Crosetto, che però - davanti ai vertici di Isaf e alle autorità afgane - conferma l’impegno italiano: «Rimaniamo in Afghanistan, continuiamo a fare la nostra parte, con i nostri Alleati, per la pace e la sicurezza di questo Paese» e scandisce una data: «lavoreremo per essere in grado di consegnare alle autorità afgane il controllo di gran parte della regione ovest entro la fine del 2011, trasformando la nostra in una missione principalmente di addestramento».
Fino ad allora, però, il governo intende «fare di tutto per tutelare al massimo» i soldati sul campo: «Per noi resta di basilare importanza la sicurezza dei nostri ragazzi e continuiamo a impegnarci perchè venga potenziata», dice Crosetto, che ai comandanti ha raccomandato «prudenza» e di «tener conto dei rischi», invitando tutti a «valutare sempre quale è il modo migliore e più sicuro per portare avanti un ordine, magari impartito lontano da qui, a Kabul o altrove. Spesso la velocità di fare certe cose non è una buona consigliera e qualche minuto di riflessione in più può servire».
Sulla pista dell’aeroporto di Herat, a due passi da dove il generale Marcello Bellacicco riceve la bandiera della Nato dalle mani del generale americano David Rodriguez, comandante dell’Isaf Joint Command, stazionano i cacciabombardieri Amx di cui in questi giorni si è tanto parlato. Ma la polemica sulle bombe resta lontana. In questi sei mesi sarebbero serviti ad aumentare la sicurezza dei soldati italiani e a ridurre il numero dei caduti?
«Domanda difficile», risponde il generale Berto, che preferisce glissare. «Ma una cosa è certa», osserva. «Gli assetti aerei non sono mai mancati, perchè ogni volta che l’abbiamo chiesto la Nato ha provveduto a fornirci soccorso».
Il comandante della Taurinense «ha scolpito nel fisico e nel volto - osserva Crosetto - le difficoltà, le sofferenze e i rischi che tutta la brigata ha sopportato in silenzio». Ora finalmente torna a casa. Cosa lascia? «Lasciamo un paese migliore - risponde Berto - dal punto di vista della sicurezza e dello sviluppo. Frutto di tante operazioni, tante pattuglie, tanti progetti di ricostruzione e tanti caduti, purtroppo. Soldati morti mentre facevano il loro dovere ai quali rendiamo onore e che non dimenticheremo».
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