Addio all’artista Toffoletti: fu lui a riscoprire la Modotti

Si è spento a 75 anni l’esponente piú anticonformista della cultura friulana. Con la rivista Perimmagine e il comitato per Tina ha dato voce alla controcultura.
Udine 16 Agosto 2011. Celebrazione anniversario nascita Tina Modotti in Via Pracchiuso. Telefoto Copyright Foto PFP/Petrussi
Udine 16 Agosto 2011. Celebrazione anniversario nascita Tina Modotti in Via Pracchiuso. Telefoto Copyright Foto PFP/Petrussi

È morto ieri a Martignacco Riccardo Toffoletti, 75 anni, il fotografo udinese espressioen di un Friuli anticonformista, che ha rappresentato attraverso la rivista Perimmagie e nell’impegno alla guida del Comitato Tina Modotti, determinante per la riscoperta dell’artista di via Pracchiuso anche sullo scenario internazionale. Lascia la moglie Marí e amici veri che sabato a palazzo Frangipane, a Tarcento, onoreranno la sua memoria. Previsti funerali strettamente privati. Il professor Gianpaolo Gri ne traccia un profilo.

***

Abitavamo quasi di fronte, in via Mazzini: Toffoletti nel suo studio su un lato della strada, noi Gri sull’altro. Vicini e distanti, per anni; poco piú di un cenno del capo per salutarci. Conoscevo e rispettavo il suo testardo lavoro per restituire a una Udine sorda e refrattaria la memoria di Tina Modotti; ricevevo di tanto in tanto Perimmagine, sorpreso per la resistenza di una voce cosí fuori dal coro e per l’anticonformismo di una rivista che strideva in maniera clamorosa sulla scena del conformismo friulano. La vicinanza spaziale si è fatta incrocio di esperienze di lavoro alcuni anni fa nel segno di Ettore Guatelli, il contadino-maestro di Ozzano Taro che ha rivoluzionato (con i fatti, non con le parole) la museologia etnoantropologica. È stata una sorpresa scoprire Toffoletti amico di un fanatico raccoglitore di oggetti dismessi del mondo contadino padano; l’avevo sempre pensato immerso in maniera totale nella contemporaneità, attento e vicino alle avanguardie e non certo a chi si interessava delle memorie di un mondo irrimediabilmente perduto. In quell’incontro nessuno ha tradito se stesso: il museo messo in piedi da Guatelli era di fatto arte d’avanguardia; attraverso la sua installazione l’universo contadino mostrava tratti di straordinaria potenza creativa. Come i volti e le mani delle contadine e dei contadini fotografati da Tina Modotti: un altro mondo, una diversità di per sé eversiva, all’opposto del folklorismo di maniera e del consumismo, della tradizione.

Arte e militanza. Trovarsi sulla stessa barca, muovendo da punti di partenza cosí diversi (lui dalla miscela infuocata di fotografia e militanza politica dei secondi anni Sessanta; io dal fronte piú tranquillo della ricerca accademica) è stato emozionante. Da allora la vicinanza si è fatta amicizia e inespressa (ruvido lui quanto ritroso io) consonanza. Poche frasi scambiate, e mi ha fatto rivedere la sua storia: la formazione nei secondi anni Cinquanta quando ha mescolato in fusione incandescente, e per sempre, cultura, politica e fotografia; il ritorno in Friuli nel ’64 e la combinazione a volte rabbiosa di arte e militanza; la convinzione che la fotografia rappresentasse davvero uno strumento nuovo, efficace, e sano (come gli piaceva dire) per descrivere e cambiare di un pochino la realtà; l’impegno nell’insegnamento e il legame con gli allievi; il lavoro nel circolo Elio Mauro e poi nel Comitato Tina Modotti, la testardaggine orgogliosa nel tenere viva la rivista in autofinanziamento; sempre, la rabbia dentro un mondo in cui niente andava per il verso giusto.

Fotografo operaio della civiltà contadina. E le mostre. Mi è capitato di lavorare con lui, recentemente, alla nuova edizione, ripensata, di un vecchio suo reportage sulle Valli del Natisone. La prima mostra era del ’68, quando il Friuli era pieno di cartelli “Vietato fotografare” in nome di servitú militari che erano il punto emergente di ben altre e profonde servitú; a Udine e a Cividale la mostra era subito diventata un caso, soprattutto per la combinazione di immagini e didascalie ricavate da uno scavo nei paesi fatto di ascolto e di storie di vita raccolte con profonda partecipazione interiore. Riccardo era vicino alla cultura operaia, non a quella contadina. Eppure allora aveva compiuto la stessa operazione del suo amico Guatelli, restituendoci tutto intero il cuore del problema rappresentato del suicidio collettivo degli anni Sessanta, con il ripudio e la messa in discarica della civiltà contadina. Non della condizione contadina (che Dio l’abbia in gloria, e per sempre), ma della cultura che in condizioni di subalternità il mondo contadino aveva saputo creare, inventandosi una dimensione di valori e legami vitali.

L’antiretorico: Tina rivalutata. Il Friuli soffre di molte smemoratezze. Mi auguro che tutti noi sappiamo essere grati a Riccardo Toffoletti per la lezione che lascia. Non ha soltanto restituito al Friuli (e alla città di Udine in particolare, con caparbietà) una figura come Tina Modotti, perfetto contraltare alla gerla che qualcuno periodicamente vuole innalzare come retorico monumento alle donne di qui; ha offerto al Friuli la lezione rinnovata di un anticonformismo che pure è parte costitutiva della nostra storia, contadina, operaia e artigiana. Anche grazie a Riccardo il filo della controcultura non si spezzato. E resta anche la lezione di questi ultimi suoi anni tormentati. Ha fatto sua, sapendo che la fine arrivava e pur tuttavia non mollando mai, la frase del maestro e amico Guatelli: «Non ho paura, ma mi dispiace».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto