Addio a D’Avossa: colto e integralista, divise la città

Il generale che comandò l’Ariete e non era avvezzo a obbedir tacendo

PORDENONE. Non era avvezzo a obbedir tacendo. Tutto si può dire di lui tranne che fosse una persona ordinaria e comune.

Sono stati celebrati ieri a Roma i funerali del generale Gianalfonso D'Avossa, 41° comandate della brigata corazzata Ariete negli anni 1990 e 1991, morto fa all'ospedale Celio di Roma.

Per lui l'ambasciatore russo a Roma ha pronunciato un elogio funebre da parte del ministro degli esteri Sergej Lavrov (dopo la carriera militare aveva scelto di vivere a San Pietroburgo). A Pordenone lo ricordano ancora in molti e le opinioni sono contrastanti.

«Era figlio di Giovanni, medaglia d'oro nella seconda guerra mondiale per la battaglia di Badia, nel Nord Africa – ha detto di lui il generale Giuseppe Perrone, portavoce dell'Ariete dal 2003 al 2010 –. E’ entrato alla scuola militare Nunziatella di Napoli a 16 anni. Un'educazione che ne ha determinato un carattere molto complesso. Volava alto: all'epoca pensava e parlava di Difesa europea, cosa di cui si inizia a discutere solo ora. Aveva idee bellissime e avanzatissime e alla Brigata ha fatto del bene. Ma non voleva mettere in discussione i privilegi della casta alla quale apparteneva e che lasciavano perplesse molte persone, comprese le istituzioni a Pordenone, con le quali abbiamo dovuto in seguito ricucire i rapporti. A ogni modo i comandanti si rispettano tutti, anche se non tutti sono uguali perché ognuno porta il suo bagaglio di esperienze e conoscenza culturale. E lui era una persona colta, coltissima, esageratamente colta».

Molti ricordano quando voleva entrare in politica, nelle file del Psdi, con la sua foto in divisa nei manifesti elettorali e lo slogan “La voglia di cambiare è generale”. «L'avesse fatto un altro, avrebbe passato brutti momenti» secondo dPerrone.

«E' stato un comandante che ricordo con affetto – ha detto Maurizio Enrico Parri, colonnello in servizio al comando Nato a Bruxelles –. Duro ma giusto. Ci ha fatti sentire importanti quando l'Ariete era ancora lontana dalle ribalte internazionali delle missioni di pace e l'unico suo palcoscenico era ancora la confluenza del Cellina-Meduna».

Non le mandava a dire a nessuno, compresi i presidenti della Repubblica. «Perché era uno che ci vedeva molto bene e lungo e non mandava avanti nessuno» dice di lui Antonio Bauco che gestiva il circolo ufficiali di Aviano. Rigoroso, autoritario, non per tutti autorevole. Di sicuro ha fatto parlare di sè fino alla fine.

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