Addio a Beppone, l’amico degli ultimi

Per tutti era semplicemente Beppone. Non serviva aggiungerci altro. La città lo ricorderà come l’uomo del sorriso, sempre spontaneo e carico di affetto, che veniva prima di qualsiasi parola. Per lui il sorriso significava disponibilità all’ascolto e all’aiuto con grande trasporto di umanità. Serviva a sciogliere le situazioni più aggrovigliate.
Una vita nel sindacato. Fu iscritto da sempre alla Fim-Cisl, nella categoria dei metalmeccanici, perché Beppone entrò da ragazzino nella Grande Fabbrica Pordenonese, la Zanussi, quando ancora era guidata da Lino. Fu assunto come apprendista, poi frequentò le scuole serali migliorando la sua posizione professionale: dalla catena di montaggio, al magazzino e all’ufficio, ma il suo cuore batté sempre dalla parte dei lavoratori. Per questo fu “cerniera” tra operai e impiegati, anche nei momenti più difficili delle lotte sindacali condotte senza sconti nei confronti con i dirigenti industriali: «Le responsabilità sono diverse, noi di qua e loro di là. I conflitti sono inevitabili, perché ogni conquista ha bisogno di lotte, corrette ma dure». Era rigoroso nel non urtare la sfera privata delle persone: mai un’ingerenza, scrupoloso nella tutela della privacy.
In lotta per la dignità. Beppone arrivò alla ribalta nazionale a seguito di un’iniziativa clamorosa legata alle tormentate vicende della Zanussi, dopo la crisi della gestione Lamberto Mazza nella transizione verso l’Electrolux. I primi Anni 80 furono tempi di accese vertenze sindacali per effetto dei piani di ristrutturazione lacrime e sangue. Capitò anche a Beppone di finire nella lista dei cassintegrati a zero ore, perché considerato sindacalista scomodo. Non accettò quella decisione: «Il lavoratore è considerato come uno scarto, umiliato nella sua dignità. Ora tocca anche a me, dopo 33 anni nella stessa azienda».
Dopo un primo momento di prostrazione, scelse una via gandhiana di rivolta: si presentò puntuale, ogni giorno lavorativo, davanti ai cancelli della fabbrica, nella zona industriale di Vallenoncello. Intese rappresentare così il suo status di “cassintegrato non rassegnato”.
Pioggia o sole, era puntuale a timbrare virtualmente il cartellino, dalle 8 alle 12.20 e dalle 14 alle 16.20. Copriva cioè l’80 per cento dell’orario di lavoro previsto in casi come i suoi, considerato che percepiva lo stipendio solo per quella quota. La sua azione provocatoria durò ininterrottamente per 486 giorni.
«Starò qui fino a quando non rientrerò nel mio posto» disse caparbio a tutte quelle persone che andavano da lui per esprimergli solidarietà. L’azienda trovò una soluzione nelle pieghe contrattuali, per lui e per gli altri che erano nella stessa situazione. Si batté per l’orario ridotto a 35 ore, spesso in dura contrapposizione con la Fiom-Cgil. Diventò così il precursore dei contratti di solidarietà che l’azienda non voleva riconoscere. Guarda caso oggi Electrolux li applica a man bassa.
La passione della stampa. Beppone rimase folgorato dal mondo dell’informazione. Da sindacalista concreto capiva che per ottenere risultati era necessario «saper comunicare, e bene». Per un lungo periodo curò la rassegna stampa per LT1, negli anni di maggior diffusione delle radio libere.
All’alba, prima di cominciare il turno in fabbrica, era negli studi a commentare le notizie dei giornali, privilegiando i temi del lavoro. Il primo vocione, che si ascoltava subito dopo la sveglia, era il suo. Ogni ragionamento trovava il giusto significato, perché era seguito dai fatti. Nel suo linguaggio avevano spazio le parole che costrituivano l’ossatura dell’impegno civile: libertà, democrazia, giustizia e, soprattutto, solidarietà.
Già nella prima fase dell’attività sindacale (agli inizi degli Anni 60) era “addetto al ciclostile”. Si occupava del giornalino della Fim-Cisl e della stesura dei volantini. Le sue mani restavano a lungo intrise di inchiostro per colpa dei fogli che spesso si incastravano nei delicati meccanismi di stampa, quando per non consumare troppa carta si utilizzavano fronte e retro.
E poi si occupava in prima persona della distribuzione. Beppone era in prima linea davanti all’entrata della Zanussi. Non era vita semplice l’attività sindacale nelle fabbriche, soprattutto negli Anni di piombo segnati da provocazioni e attentati. La sua era una presenza autorevole. Incuteva un po’ di timore, se non altro per la massiccia corporatura: chi avrebbe potuto toccare Beppone?
Un po’ di politica. A lui interessava dare testimonianza di uomo del lavoro e della grande fabbrica. Non chiese mai nulla per sé, né al sindacato né al partito, «per poter agire in libertà». Prima di essere un iscritto alla Dc, era un convinto sostenitore della corrente di Forze Nuove, che rappresentava l’anima della Cisl nel partito, quella che aveva come riferimento l’allora ministro Carlo Donat Cattin, sotto la cui regia fu approvato lo Statuto dei lavoratori.
Dopo veniva la Democrazia Cristiana, a cui aderì un po’ controvoglia su insistenza di quello che era considerato il padre nobile del sindacato incarnato in politica, Bruno Giust. Beppone esprimeva il senso critico ogniqualvota le strategie slittavano verso posizioni conservatrici. Si sa che la Dc era una grande mamma, che teneva “dentro tutto”. Ma c’erano dei limiti invalicabili segnati dalla dignità.
Beppone mal sopportava accomodamenti di potere: «Che me ne faccio? Non ho secondi fini». Uomo schietto, con la schiena dritta, metteva la faccia su ogni azione, perché a lui non piacevano né le soluzioni pilatesche né l’indifferenza. Dalla politica attiva si è pian piano defilato manifestando preoccupazione per l’incapacità dei partiti di esprimere traiettorie di “visioni alte”.
Uomo di volontariato. Persona corretta, sempre. All’impegno sindacale e al volontariato dedicava gran parte del tempo libero, soprattutto la domenica, dopo la Messa che seguiva a Pordenone, nella Chiesa di San Francesco, vicino a casa. Non mancava mai agli appuntamenti religiosi, perché era solito sostenere che il suo impegno sul fronte caldo della solidarietà e della pastorale del lavoro prendeva consistenza dal nocciolo duro del messaggio evangelico: «Ama il prossimo tuo come te stesso».
Il suo modello di riferimento era quello della testimonianza dei preti operai, o comunque considerati scomodi. Instancabile nell’azione anche dopo la pensione, o meglio da “pensionato non rassegnato”: tanto volontariato, sempre pronto ad aiutare i deboli e gli emarginati. Importante è stato il suo impegno nel carcere di Pordenone per promuovere iniziative. Varcava i cancelli come un papà alla ricerca del figliol prodigo: «Chi sbaglia deve avere l’opportunità del riscatto». Il suo obiettivo era rivolto all’inserimento sociale e lavorativo dei detenuti.
Non ha mai fatto mancare il sostegno a chi aveva bisogno anche di una sola parola di conforto, neanche quando le sue energie venivano meno per la sofferenza. La solidarietà per lui era un valore potente, dal significato smisurato. Beppone lo trovavi sempre.
Buon cammino lungo i sentieri di pace e dignità. Addio Beppone, che la terra ti sia lieve.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto