Addio a Beltrame, il fotografo di Manzano

Sopravvissuto alla prigionia nazista, è morto a 99 anni. Le sue immagini hanno raccontato la storia del Distretto della sedia

MANZANO. Per decenni Valerio Beltrame ha raccontato Manzano e la sua gente attraverso le proprie foto. Una carriera nata da autodidatta, quella del 99enne scomparso martedì a causa di problemi respiratori.

Assieme alla moglie Elia Faloppa aveva gestito dagli anni Sessanta l’omonimo studio fotografico di via Stazione, dopo che proprio la consorte lo aveva aperto un decennio prima. Reduce di guerra, aveva servito come aviatore sul fronte greco-albanese, finendo prigioniero dei nazisti dopo l’8 settembre 1943.

Trasferito a Belgrado, era riuscito a fuggire, continuando a lottare con altri compagni e partigiani jugoslavi contro i tedeschi. Terminata la guerra era tornato a casa, dove nel frattempo stava iniziando il boom delle sedie.

All’inizio Beltrame vestì i panni del seggiolaio nell’azienda Tonon, sposandosi nel 1951 con la donna che gli è stata vicina fino alla fine. Proprio lei, veneta trapiantata in Friuli, aveva appreso l’arte della fotografia e decise di aprire uno dei primi negozi del settore in zona. Tra i suoi clienti c’erano gli imprenditori del Distretto, che iniziavano a capire la potenzialità della pubblicità per promuovere i loro prodotti. E c’erano gli eventi del paese da seguire, diventando di fatto il fotografo ufficiale delle feste manzanesi nella seconda metà del Novecento.

Oltre al lavoro era attivo anche nell’Associazione nazionale combattenti e reduci, di cui era vicepresidente. Il presidente della sezione Rosario Genova lo ricorda con affetto: «Era un punto di riferimento, una guida per tutti gli associati.

Potevi affrontare qualunque discorso o argomento e lui ti riservava il suo tempo, la sua competenza, la sua elegante franchezza, bontà e saggezza. Ha fornito un illuminato contributo sociale alla comunità del territorio e ancor più nelle attività parrocchiali e dell’associazionismo».

Nel 2018 aveva ricevutoe la medaglia d’onore dal Quirinale per i suoi trascorsi da internato. «È rimasto a lavorare fino ai primi anni Novanta – ricorda il figlio Alessandro, che da allora ha preso le redini dell’attività –, ha immortalato le varie generazioni della comunità, così come le assemblee annuali della Cassa rurale di Manzano».

Non parlava spesso, invece, degli anni della guerrai: dapprima destinato in Albania, a Durazzo, e quindi a Scutari, con l’armistizio gli ex alleati lo imprigionarono in Serbia. Qui riuscì a tornare in libertà e, impossibilitato a rimpatriare, si unì alla Divisione Italia, nata su indicazione di Tito. Tra le sue onorificenze c’è anche la medaglia memorial intitolata al Maresciallo.

I funerali giovedì 28 gennaio alle 15.30 nella chiesa del capoluogo.
 

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