Acqua, cibo, lavoro Le nuove frontiere

Segreti, prospettive e opportunità degli allevamenti ittici
Di Enri Lisetto

Più del 50 per cento di tutti i frutti di mare prodotti nell’Unione europea provengono da acquacoltura. Ad “AquaFarm” c’è tutto: il passato, il presente, il futuro di questa materia. La prima edizione della prima manifestazione dell’anno alla Fiera di Pordenone ha per protagoniste acquacoltura, fattorie verticali e algocoltura. Un trinomio capace di mettere assieme oltre 40 tra espositori e sponsor, quattro partnership, due stand collettivi che coinvolgono una trentina di aziende, 15 sessioni di conferenze internazionali. Evento che dà lustro anche a una passione piuttosto diffusa, la pesca sportiva.

Risorse ittiche locali.

L’Ente tutela pesca “mette in vetrina” (e riceve i complimenti del sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione) i suoi gioielli, ovvero la trota marmorata – allevata in tutti gli impianti della regione, soprattutto a Polcenigo (che riaprirà tra un mese) e Flambro – e il temolo, a Maniago. «Proprio in questi giorni – dice il presidente Flaviano Fantin – immetteremo nelle acque pubbliche 60 quintali di marmorata». Sono oltre 18 mila i pescatori sportivi in regione, 5 mila 300 in provincia. «Uno sport che non ha mai conosciuto crisi e che sta avvicinando molti giovani». Aquafarm mette in vetrina la filiera ittica.

Impianti friulani.

Dal 1978 Scubla srl di Remanzacco progetta e installa impianti di allevamento ittico. «In parte produciamo e comunque forniamo attrezzature agli allevamenti, alle università e agli istituti di ricerca», spiega il titolare Alessandro Scubla. Il costo? Molteplici le variabili, almeno 500 mila euro. «Il settore è di nicchia, ma va abbastanza bene perché il pesce si mangia sempre e dicono che il suo consumo sia in crescita».

Pesce pronto, a casa.

Quanto costa un pasto di pesce? «Filetto di trota con contorno di patate e pomodorini, tra i 4 e i 4,50 euro, iva inclusa», fa il conto Massimiliano Chiesa. Pordenonese d’origine, è direttore del Gruppo Coldfish di Manerba del Garda posizionato su due segmenti di mercato: hotel, ristoranti e catering e grande distribuzione. «Alleviamo mille tonnellate l’anno di trote alla Ittica Fiume e a Cevraia di Zoppola; quindi mandiamo il prodotto nel Bresciano per la “sacrificazione”. Il selezionato viene venduto fresco o surgelato. Processo non oltre le 24 ore». Il consumo di pesce «è elevato. Questo appuntamento serve anche a capire come si potrà fornire di pesce il mondo, con risorse limitate. E sane».

Niente pesce all’ingrasso.

Tra le 5 e le 6 settimane per ingrassare un pollo, per coltivare un pesce ci vogliono 18 mesi. E non si può barare. «Il pesce ha il suo ciclo biologico che non può essere alterato, se non modificando la temperatura dell’acqua, operazione con un costo insostenibile», assicura il veterinario Ernesto Franzovini. Assieme al responsabile commerciale Lodovico Guariso porta in AquaFarm NaturAlleva, unica ditta italiana specializzata al 100 per cento in produzione di alimenti per pesci. I numeri: 2 mila tonnellate di pesce allevato in Italia, altrettante in Croazia, 30 mila tonnellate di mangime prodotto e distribuito in Italia, area Mediterranea, Nord Africa ed Europa, sino in Armenia. «Ci focalizziamo sulla qualità del prodotto finale: non deve essere solo buono, deve fare bene». La differenza tra allevato e pescato? «Il primo mangia tutti i giorni, il secondo gli alimenti se li va a cercare. La critica principale che veniva rivolta al mondo dell’acquacoltura: utilizzava due chili di pesce per produrne uno. Oggi non è più così: si utilizzano materie prime perfettamente sostenibili dal punto di vista ambientale». Col valore aggiunto: «La presenza di Omega 3, grasso “buono” presente esclusivamente nel pesce e non negli animali terresti».

Qualità e concorrenza.

Il pesce selvatico è sempre più difficile da pescare, quindi si sostituisce con quello d’allevamento. «Turchi e greci, soprattutto i primi, stanno mettendo sul mercato una quantità di prodotto non qualitativamente paragonabile al nostro». Un paragone, per capire: «Non troverete mai pesce italiano a 5 euro al chilo. Ma la qualità garantita, sì». NaturAlleva garantisce la filiera completa: produzione di mangime, allevamento, vendita. «La nostra battaglia è la valorizzazione del prodotto, ogni singolo anello della catena. Lo faccia anche il consumatore: il prodotto italiano costa di più? Sì, perché c’è maggiore attenzione a qualità e risultato finale».

Le nuove leve.

Si aggirano tra gli stand, tra una conferenza e l’altra, alcuni studenti a fine percorso dell’Università di Bologna, facoltà di «acquacoltura e igiene delle produzioni ittiche». Sono Riccardo Lombardo, Alice Roero, Alessandro Cipolla d’Abruzzo, Federico Galli. Unica facoltà, potrebbe sembrare una scelta di nicchia, invece offre molte possibilità lavorative: «Allevamenti, controllo qualità, esperti per la selezione del pesce, laboratori, istituti zooprofilattici, aziende mangimistiche, consulenze aziendali per l’igiene, controlli sanitari. Così, per dirne alcune. Siamo nati e cresciuti tra vasce di garden center, passione per il mare, per l’eco-sistema. È un filone particolare: o ti piace o non lo scegli. Crediamo che uno su tre non sappia nemmeno cosa sia l’acquacoltura».

Il futuro.

È appannaggio della natura. Ecco perché alla mostra-convegno dedicata alle tecnologie, ai prodotti e alle buone pratiche della produzione sostenibile di cibo nell’acqua ancora per oggi si affrontano i temi dell’acquacoltura mediterranea e della pesca sostenibile, ma anche della coltivazione di alghe e di tutte le colture vegetali che si basano su tecniche idroponiche, acquaponiche e aeroponiche. Adesso, almeno, grazie a Pordenone Fiere, ne sappiamo di più.

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