AC/DC, una grande festa rock per quarantasettemila al Friuli

Galoppata attraverso 35 anni di musica. Fan entusiasti provenienti da mezza Europa
UDINE.
L’estate musicale friulana si apre con un’esplosione rock, con le cannonate degli AC/DC, che hanno scelto proprio Udine e il suo stadio per l’unica data italiana del loro affollatissimo
Black ice tour
. Una notte di festa per 47 mila giovani (di ieri e di oggi) che sono arrivati qui da tutta la penisola, ma anche da Austria, Slovenia, Croazia e Ungheria.


Il “furetto” Angus Young e questa straordinaria band che non invecchia mai sono on the road dal 1975, sempre fedeli (e per questo premiati) a una linea musicale che ci riporta alle radici del rock’n’roll (con la benedizione di Chuck Berry), a una ruvida e sanguigna semplicità che ha consegnato la band australiana alla storia a colpi di milioni di dischi venduti.


Così lo show-evento di mercoledì sera, due ore tirate tirate, non poteva che essere una festa: di musica, di gente, di buone vibrazioni (senza riferimenti a quei poveri ragazzi chiamati a destreggiarsi in una situazione lunare per loro e palesemente ostile). Comunque, il successo della notte hard rock è sicuramente benaugurante per l’estate musicale.


Rock! Si scende! Come in un film di Woody Allen (l’accostamento è forse irriverente per entrambi...), il telone in fondo al palco, su cui scorre un cartoon dove la band fa viaggiare a tutta birra un treno, si squarcia ed ecco irrompere il muso di una locomotiva! Una schitarrata di Angus la ferma qui, a Udine stadio, capolinea dell’evento musicale dell’anno nella nostra regione: l’unico concerto italiano degli AC/DC. Dal
Rock’n’roll train
scendono i cinque monelli ed è subito festoso, trionfale bagno di folla tra migliaia di palpitanti cuori luminosi. Stupendo! Mai vista una coreografia spontanea così corale, quasi tutti con la T-shirt nera d’ordinanza, compatta e gioiosa! Forse soltanto con i Coldplay...


Angus Young, il furetto indiavolato, nipotino birbone e prediletto di Chuck Berry e dei padri fondatori più rompiscatole, irrequieti e fuorilegge, nel suo completino da collegiale orgogliosamente ripetente, continua a trastullarsi genialmente con la sua Gibson. Lo stile – fatto di look, di indubbia bravura chitarristica, di decibel a manetta e di un po’ di furbizia aziendale – è quello fedele, ortodosso, a suo modo rispettoso delle radici e del senso di ribellione sonora (e sociale) che il rock’n’roll ha sempre rappresentato per i giovani: per quelli di ieri e per quelli di domani. Esiste oggi un’urgenza, un bisogno di rock, di restaurazione, nel senso di ritorno alla semplicità, a una musica più legata all’energia, alla passionalità e al popolo, senza per questo essere populisti o, appunto, pop. Esiste uno stare-vivere sopra le righe, se non organizzato, sicuramente sentito e condiviso. Nel nostro caso da 47 mila persone che non si conoscono, ma che si riconoscono nel verbo Rock, Hard Rock, degli AC/DC.


E la marmaglia di Sydney non si smentisce neanche in Friuli: i terribili fratelli Young (Angus il capociurma e Malcolm il secondo) sono sempre young, giovani con le loro chitarre; la voce di Brian Johnson è da 30 anni un marchio di fabbrica nonostante sia il ragazzo anziano della band; Phil Rudd non si stanca mai di suonare e così ieri sera ha festeggiato il suo cinquantaseiesimo compleanno dietro la batteria, affiancato dal precisissimo basso di Cliff Williams nella potente sezione ritmica del gruppo.


Potenza ci pare la parola più appropriata per definire il rock degli AC/DC: un’eruzione, un’esplosione liberatoria di un suono primigenio, di qualcosa che forse dormiva dentro di noi e che tre accordi, tre affettuosi... pugni nello stomaco ridestano festosamente. Non parliamo di liturgie, ma dell’orgoglio della semplicità, tanto che la band arriva allo stadio alle 20.10 ed entra a piedi (non in limousine come altre stelle nane!) salutando la folla, amici fra amici. Poi, puntuale, si accende il mito. Non ci sono sorprese ai concerti degli AC/DC, scaletta quasi immutabile dall’inizio all’artiglieria finale.


Qui a Udine si dà molto spazio ai primi anni, quelli ruggenti che vanno dalla scossa del 1975 al “ritorno in nero” del 1980, senza però dimenticare il vendutissimo ultimo album
Black ice
, che dà il titolo al tour e la cui
Rock’n’roll train
apre lo show. Quasi a significare, a ribadire che questi sono i brani classici. Ma in fin dei conti la stessa band australiana è un classico, una fondamentale pagina della storia del rock, come gli Stones, come i maestri dell’hard Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath e Uriah Heep, come Elvis e i Beatles, amatissimi da Angus, come lo zio Chuck, che vede il suo rock’n’roll in buonissime mani.


E allora via con una ventina di pezzi che fanno tremare i muri! Dopo l’ouverture ferroviaria, ecco
Hell ain’t a bad place to be
,
Back in black
e
Big Jack
, ecco la scossa di
Dirty deeds
dei folgoranti esordi r&r, il gioiellino
Thunderstruck
(una delle nostre preferite), passando per
The Jack
che reincarna lo spirito di Bon Scott, così come
Whole lotta Rosie
, la mitica
Highway to Hell
(che dà il titolo al loro album forse più riuscito), con milioni di coriandoli sparati dal cannone per
Let there be Rock
(più assolo torrenziale e a torso nudo del diavoletto Angus) e con il saluto di
For those about to rock
mentre Brian indossa la maglia della nazionale azzurra per dirci «Ciao Italia!» e dare il via ai fuochi d’artificio del congedo. I riflettori dello stadio Friuli si riaccendono, ma per il popolo degli AC/DC il
Rock’n’roll dream
continua
.

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