Sci alpino, ecco come nasce un campione: la storia di Emanuele Buzzi

Parla l'allenatore dell'uomo-jet. Da tre anni “Lele” fa preparazione atletica al Palacus con Luigino Sepulcri: «Ogni anno è migliorato in qualcosa, costantemente»

Il particolare allenamento dello sciatore Buzzi

UDINE. Non è Rocky Balboa che si allena per sconfiggere Apollo Creed o Ivan Drago. È Emanuele Buzzi che si prepara sognando le Olimpiadi. Succede a Sappada, suo paese, in estate. Va su e giù per la pista trascinando un tronco o spingendo una carriola piena di pesi, con una persona che lo cronometra.

Questa persona è Luigino Sepulcri, udinese, 62 anni, sposato e padre di tre figli, insegnante di Educazione fisica allo Stellini e preparatore atletico con 25 anni passati nel mondo del basket fra Snaidero, Virtus Bologna e Nazionale. Ora è responsabile del laboratorio di rieducazione e recupero funzionale Medicus, al Palacus. È lui il “segreto udinese” dell’uomo-jet azzurro appena qualificatosi per le Olimpiadi invernali. Buzzi domani partirà per la Corea.



Allora Sepulcri, ci parli del tronco...

«L’idea in questi tre anni da quando seguo Emanuele è quella di inserire gradualmente qualche novità da un punto di vista metodologico, in modo da tenere alta la curiosità e la motivazione, che sono elementi essenziali soprattutto durante un’estate lunga di esercizi. Quindi non soltanto i sovraccarichi con il bilanciere ma anche esercitazioni che richiedono un grande controllo neuromuscolare. Perché siamo convinti che lo sci sia non soltanto un fattore fisico e tecnico ma anche un fattore che determina una grande percezione del proprio corpo in situazioni che sono spesso mutevoli».

Un tronco faceva il caso?

«C’è così venuta l’idea degli sprint in salita con il tronco proprio perché il tronco balla continuamente dietro e l’atleta deve sempre modificare le spinte. Quindi c’è grande richiesta di stabilità nella parte inferiore del corpo e di potenza e controllo in quella superiore. Nel senso: fermo con le spalle modificando le spinte con i piedi. Erano sei ripetute con tre serie di 30 secondi con recupero di 8 minuti tra una serie e l’altra. Dalla prima alla sesta non ci doveva essere differenza superiore al 10 per cento. Scendeva e ripartiva».

Le curiosità non finivano. È nata anche l’idea della carriola coi dischi dei bilancieri dentro.

«Il discorso della carriola è molto più complicato. Serviva un tempo di due minuti perché è un lavoro che “imita”, che dal punto di vista bioenergetico e biomeccanico imita la durata di una discesa libera. Quindi Emanuele doveva spingere alla morte alla massima intensità possibile per due minuti lungo la stradina in salita che porta dietro le case verso il rifugio Ferro. Alla fine mollava la carriola e correva trenta secondi alla massima intensità. Questo nel periodo finale dell’estate: aveva iniziato con un minuto arrivando fino a due con gradualità».

Quanti allenamenti così?

«La parte di preparazione atletica è stata quotidiana e tre volte la settimana bigiornaliera. Quando non sciava, ovviamente».

Com’è nato in Buzzi il sogno olimpico?

«Emanuele costruisce la sua performance un mattone alla volta. Se c’è un atleta che posso portare a esempio è lui per la sua sistematicità e metodicità, la pazienza di restare sempre concentrato con il focus su un obiettivo, di migliorare. Se poi questo significa raggiungere obiettivi ancora meglio. È partito con le “girate” con 40 chili, quest’anno le ha fatte con 95: è il sollevamento con il bilanciere da in piedi. Idem per lo squat. Quindi cura dei dettagli, precisione nell’esecuzione di un esercizio. La sua sensibilità è fondamentale nell’esercizio. Ha una propria ricerca personale di migliorare».

Qual è il suo maggior pregio?

«Ogni anno all’inizio della preparazione effettuiamo alcuni test atletici che definiscono le caratteristiche del momento. In base a questi facciamo in modo che le varie componenti come agilità, destrezza, potenza, forza e velocità siano in equilibrio. Se uno degli elementi non lo è, lavoriamo un po’ di più su di esso. Poi ripetiamo i test all’inizio del periodo competitivo e da quel momento si fanno piccoli richiami di mantenimento».

Cosa dovrà fare Buzzi nelle due settimane olimpiche?

«Bisogna vedere a quali gare parteciperà oltre alla discesa libera. Se farà anche combinata e supergigante dovrà soltanto mantenere il livello di forma, altrimenti si adatterà».

I contatti con i tecnici della Fisi ci sono?

«Sì e sono sempre stati buoni e sereni. In genere nelle federazioni c’è grande rispetto per il lavoro individuale, perché a ragione si ritiene che il lavoro fisico sia proprio individuale. Non più esserci un “menu” che vada bene per tutti».

Buzzi era un talento anche da ragazzino. Che cosa lo differenzia da un atleta normale?

«Un giorno sulla pista dello Zoncolan, mentre si stava allenando, si parlava di questo con il suo primo allenatore, Pera (Andrea Puicher Soravia, ndr). Lui ha detto che Lele ogni anno è migliorato in qualcosa, costantemente. E questo credo sia il suo segreto: ha avuto grande pazienza e solidità fisica e mentale nel migliorare sempre. Io la sua qualità la vedo nella sensibilità: piedi intelligenti, grande capacità di reagire, ha i tempi di reazione di uno slalomista nei test, dove si richiedono grande rapidità e velocità: capacità di essere rapido e nello stesso tempo in controllo. Lui riesce a esprimere buoni livelli di agilità e potenza con un grande controllo. Deve anche avere tanta forza. Forse il controllo è la sua priorità, ma è il suo equilibrio il suo pregio».

Tronco, carriola, palestra, ma anche bici nella preparazione.

«Certo. Sono importanti non tanto i chilometri percorsi, quanto i dislivelli: lui aveva due volte la settimana la bici con dislivelli dai mille ai 1.600 metri, un’ora e mezzo-due. Un allenamento era orientato verso la potenza (sprint in salita) e l’altro mirava alla resistenza (lungo lento)».

Quindi, chi è Buzzi in poche parole?

«È un ragazzo solido, che ha il focus nel voler migliorare ogni anno qualcosa. Parte da un eccellente livello di madre natura, ha “scelto” il papà e la mamma buoni, dico io».

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