Il ciclismo italiano e la crisi di vocazioni: è anche una questione di sponsor
Valentino Sciotti, re del vino d’Abruzzo e storico sostenitore del ciclismo, ci guida dentro il momento difficile dell’Italbici

SAN SALVO. La crisi del ciclismo italiano, con nessun azzurro in corsa per la rosa, vista da uno storico sponsor della bici, il “re dei vini, Valentino Sciotti, artefice primo della 4 giorni abruzzese del Giro e co-sponsor, con i marchi Farnese e Zabù, dei team Intermarche e Israel. Con quasi cento milioni di fatturato, partito 30 anni fa dal nulla, 24 milioni di bottiglie prodotte, export in decollo, il controllo dell’azioenda ceduto per 170 milioni al terzo fondo americano, l’imprenditore abruzzese, amministratore delegato del gruppo Farnese, è anche l’artefice primo della 4 giorni (c’è anche Campo Imperatore venerdì) offre un punto di vista interessante sull’Italbici.
Sciotti perchè manca da anni una squadra italiana nel World Tour?
«Credo sia ancora colpa delle bufere doping in passato. Barilla, Ferrero, Benetton, Doris, Marzotto e tanti altri vanno in bici, ma non si fidano di investire nel ciclismo. Ci avevamo provato qualche anno fa, ma non se n’è fatto niente».
All’estero invece, vedi, Ineos si investono milioni...
«C’è fiducia in uno sport meraviglioso dove chi investe ha un ritorno assicurato. Un ritorno che nessuno sport al mondo garantisce. L’ho provato nelle mie squadre. Lei sa che abbiamo constatato che avere un marchio più piccolo sulla maglia, ma ben posizionato a favore di telecamera, rende quasi più che dare il nome a una sqaudra?».

Lei nel 2013 rimase scottato con De Luca...
«Gli diedi una seconda possibilità, arrivava dalla squadlifica per doping, mi tradì appena tornato in gara al Giro 2013, era abruzzese. Lui scappò preso con le mani nella marmellata, aveva fatto tutto sa solo. Tutti si dileguarono, io andai in tv a dire: sono solo lo sponsor e lotto per un ciclismo pulito. La gente apprezzò. Perchè se uno viene pescato positivo la colpa deve ricadere sullo sponsor che magari, come facevo io fino a due anni fa quando avevo le Squadra Nippo-Fantini o Vini Zabù, ordinavo sugli atleti controlli supplementari spendendo una barca di soldi?».
E adesso?
«Ripartiamo dai settori giovanili poi torneranno i campioni e gli sponsor. Ripeto: questo è uno sport sul quale investire vale decisamente la pena. E non bisogna investore solo per il risultato, ma per la base del movimento, anche quello femminile in grande espansione».

È vero che stava per ingaggiare Pogacar?
«Era juniores, gli proposi un contratto. Preferì finire la scuola e restare a correre in Slovenia. Ma ci avevo preso, avete visto quanto è forte?».
La vittoria più bella di un suo corridore?
“La stupirò, ma ci credo fortemente: quella di Damiano Cima a Santa Maria di Sala al Giro 2019. Era in fuga, il gruppo sembrava sul punto di prenderlo, lui lanciò una volata disperata e battè il plotone affamato: incredibile. Pensi che poi quel corridore è finito nella Gazprom e ha smesso di correre per le note disavventure di quella squadra legate alla guerra in Ucraina. No, se c’è una pecca nel ciclismo, come nella vita, eccola qui: la meritocrazia non vince quasi mai”.
Altra vittoria?
"Beh, io produco vino, Petacchi, che correva con la Lampre Farnese, nel 2010 al Tour de France vinse in volata a Reims davanti alla sede di un colosso dello champagne che sponsorizzava la tappa: che goduria!”.

Lei ha creduto fermamente nella grande partenza in Abruzzo. Obiettivamente la tappa sulla ciclabile è stata uno spettacolo.
"Non avevo dubbi: il ciclismo e il turismo vanno a braccetto: l’avete visto che spettacolo?”
Com’è finito a sponsorizzare una squadra israeliana?
"Guardo i progetti, poi le qualità sportive. Loro volevano ingaggiare un atleta palestinese, poi la cosa non si concretizzo’ per le polemiche che ne scaturirono: ecco, ho capito ancora una volta che lo sport può unire”.
Froome però non vince più…
"Ma è una grande persona. Ne ho avuto un’ulteriore prova pochi mesi fa quando, insieme ai responsabili della Israel, siamo andati in Ruanda, che ospiterà i Mondiali di ciclismo nel 2025, per quello che sarà un evento epocale per questo sport e l’Africa, ad avviare una grande iniziatiova di solidarietà che ha l’obiettivo di migliorare la qualità della vita della gente e dare loro un sogno realizzando un’accademia di ciclismo per i giovani. Chris era lì con noi, e si è dimostrato, oltre che un camoione che ha vinto 4 Tour e un Giro d’Itralia, una persona straordinaria. Come lo è Domenico Pozzovivo: ho fatto di tutto per farlo ingaggiare dall’Intermarche. Ha 41 anni, è un simbolo per il sud, per tenacia, talento, resilienza”.
Più di qualcosa ci dice che, quando finalmente gli imprenditori italiani si decideranno a investire nel ciclismo, magari al seguito del prossimo talento che si deciderà ad emergere (ne ha bisogno tutto il movimento), uno dei marchi di Sciotti ci sarà. Questione di passione.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto