Una scelta tra promesse e slogan

Paolo Mosanghini

Si è chiusa una delle peggiori campagne elettorali. Non è stato un confronto che ha portato proposte serie e concrete per il futuro di questo Paese.

Abbiamo sentito solo proclami, non programmi. Abbiamo ascoltato fiumi di promesse e slogan con l’unico scopo di portare a casa un voto in più: dagli alberi da piantare ai mille euro di pensione minima, dal canone Rai al reddito di cittadinanza che resisterà o sarà smantellato, dalla flat tax senza copertura fino ai soliti blocchi navali. Una campagna elettorale balneare, da qualsiasi punto la si osservi.

Su economia, imprese con il cappio al collo per i costi degli approvvigionamenti e le speculazioni che vanno a gravare pesantemente sul portafoglio dei cittadini solo poche parole e scarso impegno. S’è visto, quello sì, un acceso battibecco sui finanziamenti internazionali ai partiti, sono volate accuse personali da destra a sinistra con sosta al centro.

Rimaniamo in attesa del risultato elettorale per verificare fino a che punto i sondaggi hanno colto gli umori. Intanto, qualcosa forse la possiamo già dire. Il bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra, tra conservatori e progressisti, è tramontato.

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Non è ancora finita la stagione del populismo e dell’antipolitica: resiste, ha soltanto cambiato i volti dei protagonisti. Partiti e movimenti in rapida ascesa e altrettanto vertiginosa caduta ne abbiamo visti.

Pesa l’assenza di una classe dirigente competente e preparata. I candidati sono invece scelti tra gli amici fidati e sono immuni dal voto di preferenza: si determina così uno scenario politico instabile, senza un radicamento nella società e nel territorio. Il voto del momento, in mancanza di una visione e di una prospettiva, rappresenta un limite alla crescita del Paese.

Una misura della lontananza tra elettori e classe dirigente sarà il dato dell’astensionismo. Ma per la speranza nel futuro oggi esprimiamo, civilmente, il nostro voto.

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