Il segreto degli alpini e il sacro patto

UDINE. Ogni anno a maggio gli alpini partono per l’Adunata, i giovani e gli anziani, o meglio i “bocia” e i “veci”, storie e vissuti diversi, e per nulla al mondo vi rinuncerebbero.
È la grande festa degli alpini, un Corpo che custodisce storia e valori. Chi ne ha fatto o ne fa parte porta con sé un profondo senso di appartenenza che si rafforza negli anni, anche quando la stecca della naja è un simpatico ricordo.
L’essenza alpina rimane immutata e i momenti di quel tempo in gioventù diventano il collante tra chi c’era, l’argomento di conversazione con gli altri alpini che non c’erano, il confronto tra generazioni, tra il prima e il dopo di come è cambiato il servizio militare nel corso dei decenni.
Sono giornate di grande e intensa partecipazione per la nostra città, la vedremo con altri occhi, quelli degli alpini, delle loro famiglie, degli ospiti. E l’Adunata a Udine, in Friuli, in terra alpina, è ancora più forte e più sentita.
Le penne nere qui sono state solidarietà e forza quando ne abbiamo avuto necessità, sono concretezza, dignità e orgoglio. Sono state sentinelle dei confini prima che la geopolitica mutasse. La nostra regione si è fatta conoscere quando non esistevano promozioni turistiche attraverso i racconti di migliaia di ragazzi che qui sono arrivati per la leva da tutta Italia, e molti hanno messo su famiglia e radici, rimanendo a vivere e a lavorare.
La sensibilità civica degli alpini che tornano in questa città dopo 27 anni – per la quinta volta –, e dopo l’Adunata di Pordenone di nove anni fa, non si racconta, si percepisce, si intuisce, si diffonde, si fa partecipazione.
È un tacito accordo tra la società civile e le migliaia di penne nere. È un patto che si rinnova.
In ogni paese del nostro Friuli alpini e Protezione civile si intrecciano a testimoniare l’abbraccio e la fratellanza.
In questi giorni abbiamo incrociato molte storie, e altre ne racconteremo, di alpini (non c’è un ex davanti, alpini lo si è per sempre) che sono venuti da ogni parte d’Italia per rivedere commilitoni di molto tempo fa.
Mi raccontava una cara amica che lo zio, tutti gli anni, rientrava in Italia dal Canada dove era emigrato per lavoro; rimpatriava per partecipare all’adunata e non se n’è persa una per tutta la sua vita.
Mio padre Francesco, alpino, intratteneva le tavolate con i suoi racconti della naja, se poi c’era anche suo cognato Ernesto ci mancava solo che si mettessero a cantare le canzoni alpine. E il legame con il suo amico Beppino di Gemona si rinnovò e si cementò nel ’76.
Lo andò a cercare tra le macerie per poterlo aiutare. Rimase e resta una amicizia alpina tra le famiglie. E poi gli zii Enore, Giovanni (detto il Nin) che aveva vissuto la ritirata di Russia e che tutti gli anni a Cargnacco partecipava alla commemorazione dei caduti a Nikolajewka. La mia amica Sabrina ha fatto scolpire un simbolico cappello d’alpino in rame: quel cappello saluta il padre che non c’è più.
E potrei continuare. Credo sia così in migliaia di casi che ognuno di voi può testimoniare, un’infinità di esempi.
Le polemiche, le strumentalizzazioni, gli imprevisti, le critiche, ma certo, entrano prepotentemente quando si vive un appuntamento così imponente, quando ci si ritrova tra centinaia di migliaia di persone. L’organizzazione è stata avviata mesi e mesi prima per far girare una macchina maestosa dove tutto deve filare e tutti devono sfilare.
Chi glielo fa fare? Ci si chiede. L’alpino e scrittore Giulio Bedeschi in un libro illustrò “Il segreto degli alpini” e diede una risposta.
«Ecco cosa glielo fa fare. Ecco il semplice, elementare segreto degli alpini: un sacro patto umano. Sono legati uno per uno, è un’intesa profonda che passa da uomo a uomo sul filo della penna nera.
Un patto umano che ha legato una volta e lega per sempre, fra gente ... misurata nel profondo e se si guarda negli occhi si legge nel cuore. Non è cosa da poco, a questo mondo. Ecco il senso, il gusto dell’Adunata, vale la pena di accorrere, di ritrovarsi.
È un gigantesco atto d’amore collettivo, alla buona s’intende, senza complicazioni, da alpini insomma. Ma non giudicateli dall’apparenza, allegri e burloni come sono; quelli camminano in centomila, ma potete moltiplicarli a volontà, non finiscono più perché si portan dietro i loro morti, dispongono perfino di un loro paradiso, il paradiso di Cantore».
E allora Buona Adunata!—
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