La storia di Katia: «I miei figli mi insultavano come mio marito. Allora sono fuggita»

Dopo anni di soprusi, umiliazioni e violenze subite tra le mura domestiche, Katia trova il coraggio di fuggire con i suoi tre figli e chiedere aiuto a un centro antiviolenza. Il racconto di una donna che ha toccato il fondo, ma che oggi, grazie al sostegno umano e legale ricevuto, sta riscrivendo la propria vita e riconquistando la libertà

Valentina Calzavara
La storia di Katia, vittima delle violenze del marito
La storia di Katia, vittima delle violenze del marito

«La mia storia di violenza? Non saprei dire come è cominciata. So solo che a un certo punto sono precipitata nell’incubo. E ora sto cercando di scrivere un finale diverso». La voce di Katia trema ancora, le sue dita tamburellano nervosamente sul tavolo della saletta del Centro antiviolenza di Quinto dalle pareti color pastello.

«Solo in questo luogo mi sento davvero al sicuro e solo grazie alle operatrici e alla psicologa, sto ricominciando a volermi bene. Non saprei immaginare la mia vita senza il supporto umano, ma anche legale, che sto ricevendo. Penso di parlare a nome di tutte le donne che, come me, hanno incontrato la violenza».

Katia è madre di tre figli, due maschi che oggi frequentano le scuole medie e una figlia che va alle elementari. È fuggita dal marito per loro, accettando un percorso di protezione che le ha consentito di salvarsi e salvarli.

«Se non avessi avuto il sostegno che mi stanno dando al centro, non ce l’avrei mai fatta a liberarmi. Non so nemmeno se oggi sarei ancora qui a potermi raccontare». Il passato torna prepotente.

«Con mio marito ci siamo incontrati e innamorati da giovani. All’inizio andava tutto bene. Ci siamo trasferiti all’estero per un periodo, poi siamo tornati in Italia, perché lui era un manager, io avevo appena finito gli studi universitari. Decidiamo di sposarci e di allargare la famiglia».

Tutto filava liscio in principio. Lui che ha un buono stipendio e si fa orgoglioso dell’ottimo tenore di vita che riesce a garantire.

Lei, convinta dal marito, lascia il lavoro da impiegata.

«Per certi versi quella è stata la prima trappola che mi ha teso. Non avevo più un reddito e quindi una mia autonomia, nel giro di poco tempo, le cose sono degenerate. Lui inizia ad aggredirmi, prima solo a parole, mi insulta, mi denigra davanti ai figli, mi sminuisce di continuo e mi rinfaccia di non essere una buona moglie e una buona madre». Dalle offese alle mani, il passo è stato breve.

«Ha iniziato a picchiarmi. Pugni, mani strette attorno al collo, tirate di capelli, graffi e strattoni che mi lasciavano i lividi sulle braccia».

Lo fa tra le mura di casa, volutamente davanti ai bambini. «I vicini sentono, le forze dell’ordine sono allertate». Uno schiaffo parte anche alla festa del paese. Katia vive nel terrore e si sente sempre più svuotata.

«È una sensazione difficile da descrivere, è come se non avessi più l’energia per fare nulla. Come se avessi finito per credere a quelle sue continue umiliazioni». C’è però una cosa che le fa trovare una forza che non sapeva di avere. «Quando i miei due figli maschi hanno iniziato a insultarmi come il loro padre, ho detto basta».

Katia, oggi quarantenne, sporge denuncia, scappa e chiede aiuto. Poco dopo chiede la separazione. Nel frattempo, i figli le vengono affidati in via esclusiva. Nei prossimi mesi ci sarà il processo. «Grazie al percorso qui al centro mi sto rimettendo a fuoco. Ho fatto un corso di formazione e a settembre andrò a insegnare. Finalmente mi sento libera e con pazienza cammino verso la serenità».

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