Ecco perché il delfino Mimmo si è accasato (a tempo) in Laguna: «Se ne andrà, ma ritornerà»

Per Scarpa (Settemari) il delfino di San Marco non corre troppi rischi: «È un predatore, segue il suo cibo: ora non ha motivi di allontanarsi»

Giacomo Costa
Il delfino Mimmo a caccia di prede
Il delfino Mimmo a caccia di prede

«Non c’è da preoccuparsi troppo, il delfino se ne andrà da solo, tra un mese o due. È un predatore, segue le sue prede. E, in questo momento dell’anno, in bacino San Marco quasi gli basta stare fermo e aprire la bocca perché il cibo gli salti dentro da solo. È la fraìma: in autunno i pesci scendono dai bacini lagunari verso il mare. E lui, da lì, li intercetta tutti».

Gianrico Scarpa parla con l’esperienza di decenni: componente dell’associazione Settemari, pescatore da tutta la vita, anche lui è un predatore della laguna, e come tale segue le stesse logiche del delfino Mimmo (che, tra l’altro, deve il suo nome proprio a chi l’ha avvistato per primo, sempre un pescatore).

«Si tratta di un mammifero intelligente, con buona memoria: con ogni probabilità ha scoperto questo territorio qualche primavera fa, nelle settimane in cui le acque sono cariche di giovanissime seppie. E sa come tornarci, alla bisogna. In questo periodo il mare aperto è vuoto, la laguna invece brulica di vita, non ha alcun motivo per allontanarsi».

Le barche non lo spaventano, perché sorprenderlo è difficile, secondo Scarpa: «Un delfino non è una tartaruga, è agile, è attento, è difficile che uno scafo lo colpisca. Certo, può essere capitato, come testimoniano i segni sul dorso, ma non è stato niente di grave - e difficilmente si ripeterà».

Insomma i rischi di andare a caccia in bacino sono bassi, i vantaggi invece immensi: «Quello specchio d’acqua è il punto di arrivo di due ghebi naturali, che oggi corrispondono ovviamente al canale della Giudecca e al Canal Grande. E sono due percorsi profondi, popolati da tantissimi tipi di pesce: era così una volta, ma anche adesso non è cambiato poi molto: quando ero piccolo, il giorno della Madonna della Salute, si potevano notare le schiuse delle uova dei pesci colombo, e gli esemplari che nuotavano tra le Zattere e il Redentore potevano arrivare anche al quintale».

Cento chili di vaccarella forse ora sono improbabili da intercettare nelle acque interne di Venezia, ma 30 o 40 no. E lo stesso può dirsi delle leccie, che i pescatori lagunari conoscono bene perché hanno ancora la tendenza a rubarsi le orate già prese all’amo, lasciando giusto le teste come brutta sorpresa per chi recupera la lenza. Identica storia con i pesci serra.

Ma allora, perché Mimmo dovrebbe andarsene, da qui a gennaio? «Per seguire il cibo, sempre per lo stesso motivo: certo non sta in bacino perché gli piace la vista di piazza San Marco! Tra un mese o due andrà a caccia di calamari, e li troverà verso il porto, visto che è lì che depongono le uova. Da quel punto probabilmente proseguirà verso il golfo di Trieste, sempre inseguendo i cicli vitali delle sue prede».

A spingere il cambiamento sarà anche la bora, che già raffredda le acque e fa sparire le orate, spazzando l’ecosistema lagunare e costringendo il delfino a tornare finalmente in mare. «Ma tornerà quasi sicuramente l’anno prossimo», conclude Scarpa, «Ha buona memoria, appunto». Per allora, magari, sarà pronto il sistema di dissuasione sperimentato sabato: emettitori sonori installati in punti strategici.

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