Vegetariani e alla ricerca di cibo e freddo: l’identikit degli orsi del Nord Est

Una ricerca dell’Università di Udine ha messo in luce il comportamento dei 5/10 esemplari che vivono sulle nostre Alpi: il cambiamento climatico li spinge verso altitudini più elevate

L'orso Francesco in una zona della Carnia
L'orso Francesco in una zona della Carnia

Tra i 5 e i 10 esemplari, in prevalenza vegetariani. Questo è il profilo degli orsi che vivono nelle Alpi del Friuli Venezia Giulia, secondo quanto emerso da uno studio pubblicato dall’università di Udine, condotto insieme ad altre 75 istituzioni scientifiche di 26 Paesi sparsi per l’Europa.

La ricerca, che ha analizzato circa tre milioni di localizzazioni Gps di circa 3 mila orsi con collare satellitare di tutto il Vecchio Continente, ha messo il luce come il cambiamento climatico influenzi la distribuzione e il comportamento della specie: l’aumento delle temperature, spinge infatti gli orsi a spostarsi verso altitudini più elevate. Il clima determina anche la dieta: quelli che vivono in aree più calde, sono perlopiù vegetariani, mentre quelli che vivono dove fa più freddo, tendono a essere più carnivori. 

Lo studio

 Lo studio ha analizzato oltre tre milioni di localizzazioni Gps di circa 3000 orsi con collare satellitare appartenenti a 14 sottopopolazioni, in contesti ambientali molto vari in Europa e in Turchia.

L'orso Francesco, monitorato dall'Università di Udine
L'orso Francesco, monitorato dall'Università di Udine

Di questi, sono stati studiati anche gli otto individui monitorati dell’Università di Udine nelle Alpi nord orientali e dinariche. La ricerca è stata pubblicata dalla rivista scientifica internazionale “Global Change Biology”. Per l’Ateneo friulano ha lavorato al progetto il gruppo di ricerca sulla Gestione e la conservazione della fauna del Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali. Il team è coordinato da Stefano Filacorda coadiuvato da Lorenzo Frangini.

I risultati

Le informazioni ricavate sono preziose per prevedere dove le specie potrebbero vivere in futuro e quali ruoli ecologici potrebbero svolgere tenuto conto dei cambiamenti climatici e dell’uso del suolo. I cambiamenti nella distribuzione delle specie di cui si nutrono gli orsi potrebbero quindi modificare il loro uso degli ambienti naturali e seminaturali e influire sulla loro sopravvivenza. È stato osservato che gli orsi tendono a essere presenti in aree con maggiore disponibilità di energia e di nutrienti derivanti dalle specie della loro dieta.

Inoltre, dallo studio emerge come il cambiamento climatico stia spingendo alcune specie, tra cui l’orso bruno, a spostare il proprio territorio verso altitudini più elevate. O verso i poli, dove le condizioni climatiche restano entro i limiti di tolleranza della specie. Il lavoro permette anche di prevedere una riduzione della disponibilità alimentare per l’orso a causa dell’aumento della temperatura e dei cambiamenti climatici. Questo soprattutto per popolazioni più meridionali (Balcani e Turchia) e con comportamento vegetariano, con una diminuzione degli areali di occupazione e maggiori rischi di interazione con le attività umane.

Dieta, ecosistemi e cambiamento climatico

Prendendo l’orso bruno come caso di studio, la ricerca mette in luce l’importanza delle interazioni tra specie nella conservazione degli ecosistemi. Gli orsi infatti hanno una dieta molto varia. Quelli che vivono in aree calde – come i Pirenei, la Grecia e la Turchia – hanno una dieta più vegetariana. In aree più fredde – come in Norvegia, Svezia e Finlandia – tendono ad essere più carnivori. Gli individui presenti nelle Alpi nord orientali, in Friuli Venezia Giulia sono stimati tra 5 e 10, presentano una dieta prevalentemente vegetariana, a parte individui specifici che attaccano gli animali domestici.

«Questo significa – spiega il professor Filacorda – che il ruolo dell’orso nell’ecosistema varia, passando da erbivoro a erbivoro e carnivoro, anche con comportanti di necrofago ovvero “di spazzino di carcasse”. Ciò ha permesso di studiare come le interazioni locali si manifestano su scala continentale. Gli orsi tendono a essere presenti in aree con maggiore disponibilità di energia e di nutrienti derivanti dalle specie della loro dieta.

Per esempio, nei Pirenei la presenza di querce e faggi, grazie alla produzione di ghiande e faggiole, risorse alimentari chiave per questa sottopopolazione, rende più probabile la presenza dell’orso. In altre sottopopolazioni, dove l’orso è più carnivoro, la sua presenza è più strettamente legata alla distribuzione di ungulati selvatici come cinghiali, cervi o anche renne semidomestiche. Questo – sottolinea Filacorda – rafforza l’idea che per conservare le specie è necessario proteggere gli ecosistemi da cui dipendono».

Altre specie, come quelle con diete più specializzate, mobilità ridotta o esigenze ambientali molto specifiche, potrebbero invece reagire in modo diverso ai cambiamenti climatici, all’uso del suolo e alle modifiche delle loro interazioni ecologiche.

«Migliorare la nostra comprensione di queste dinamiche – evidenzia Stefano Filacorda – è essenziale per progettare strategie più efficaci per la conservazione della biodiversità e per il mantenimento dei servizi ecosistemici offerti dalla natura».

Gli effetti indiretti dei cambiamenti globali

Finora la maggior parte degli studi si è concentrata solo sugli effetti diretti dei cambiamenti ambientali – come temperatura, precipitazioni e uso agricolo – sulle distribuzioni delle specie. Questo studio, invece, si focalizza sugli effetti indiretti, analizzando come le interazioni tra specie modellano i comportamenti.

Comprendere come i cambiamenti globali — tra cui il cambiamento climatico o la trasformazione dell’uso del suolo — influenzano le specie è fondamentale per conservare la biodiversità. Ma anche per mantenere i servizi ecosistemici che la natura ci offre, come acqua pulita, fertilità del suolo e impollinazione. Anche l’orso fornisce molti servizi, tra cui migliorare la biodiversità delle foreste attraverso l’ingestione, il trasporto e la digestione dei semi.

I partner

La ricerca è stata coordinata dalle Università di Siviglia e “La Sapienza” di Roma e dall’Istituto di conservazione della natura della Polonia, istituzioni che partecipano, con Udine, al network scientifico BearConnect. Tra i partner figurano il Museo nazionale di scienze naturali di Spagna, la Stazione biologica di Doñana (Spagna), l’Università Grenoble Alpes (Francia) e il Centro nazionale francese per la ricerca scientifica.

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