Unabomber, la caccia è finita: dalla perizia nessuna corrispondenza con un profilo genetico
Il «corposissimo» lavoro condotto dai periti Giampietro Lago ed Elena Pilli non ha fornito gli esiti sperati: il Dna dei reperti non è compatibile con nessuno degli indagati né di altre persone conosciute

La caccia è finita. Unabomber, l’uomo che ha terrorizzato il Nordest che una serie di ordigni disseminati qua e là tra il 1994 e il 1996 e tra il 2002 e il 2006, quasi certamente non avrà mai un nome. La perizia disposta sui dieci reperti non ha evidenziato alcuna corrispondenza con uno degli undici indagati, né di altre persone conosciute.
Una «perizia corposissima», quella elaborata da Giampietro Lago, ex comandante del Ris di Parma, ed Elena Pilli, antropologa molecolare forense, che sarà svelata nella sua interezza nei prossimi giorni, ma la sostanza è una: l’inchiesta, riaperta nel 2022 non ha dato gli esiti sperati, e non ha evidenziato alcuna corrispondenza con un nome conosciuto.
Scagionate quindi tutte le persone indagate anche in questa inchiesta bis, compreso Elvio Zornitta, l’ingegner di Corva di Azzano Decimo indagato dal 2004, scagionato nel 2009 e nuovamente inquisito nel 2022. L’unica condanna ottenuta rimarrà dunque quella di un poliziotto per la manomissione della prova regina a carico di Zornitta, il principale sospettato dell’epoca.
La seconda inchiesta
Nessuno degli undici indagati, si è presentato in aula. A varcare la soglia del palazzo di giustizia furono, in quella occasione, il giornalista Marco Maisano, autore del podcast “Fantasma. Il caso Unabomber”, e due delle vittime dell’attentatore, la Girardi, oggi trentenne, originaria di Motta di Livenza e residente a Monza, e Greta Momesso, oggi ventiseienne, sua conterranea e residente a Rovereto, che nel novembre 2022 avevano chiesto e ottenuto la riapertura del caso.
Il protrarsi dell'attesa, oltre a lasciare in sospeso gli indagati, ha determinato la decorrenza dei termini di prescrizione per tutti gli attentati meno uno, quello del 6 maggio 2006 a Porto Santa Margherita, a Caorle, quando deflagrò un ordigno nascosto sotto il tappo di una bottiglia contenente un messaggio e un infermiere di Mestre, all'epoca ventiseienne, rimase ferito. Anche in questo caso, però, la possibilità di chiedere un risarcimento è destinata a cadere.
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