Lo spettacolo di Panatta a Pordenonelegge: «Il mental coach? Magari sarebbe servito a Pietrangeli»

L’ex campione fa impazzire il pubblico tra aneddoti e la sua naturale sfrontatezza. Gli amici-rivali e il tennis di oggi: «Staff enormi per i campioni di oggi, noi eravamo soli, ma tutti amici e ridevamo sempre»

Bruno Oliveti
Nelle foto di Brisotto/Petrussi, Panatta con Semeraro e Procacci
Nelle foto di Brisotto/Petrussi, Panatta con Semeraro e Procacci

«Nastase era più forte di Adriano». «E te pareva». Il botta e risposta a distanza tra Pietrangeli e Panatta, da sempre amici-antagonisti, è stato solo uno degli sketch spontanei che hanno fatto sbellicare la sala gremita del palco in uno degli eventi-clou di Pordenonelegge 2024. Un’ora di ironia sfrontata, risposte al vetriolo, sfottò istantanei.

Panatta l’istrionico

Adriano Panatta, 74 anni, icona del tennis italiano, è un cabarettista naturale. Senza copioni da seguire, va a briglie sciolte e non guarda in faccia a nessuno: lui è così, irriverente, spontaneo, scherzosamente insolente. Doti che il regista Domenico Procacci, fondatore della casa di produzione Fandango, ha immortalato nella fortunata serie tv “Una squadra”, che ricostruisce l’avventura in Coppa Davis, vinta nel ’76 con Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti, Tonino Zugarelli e il capitano non giocatore Nicola Pietrangeli ad affiancare Panatta.

Documentario che racconta il “back stage” di quel gruppo fantastico e da cui è stato tratto il libro, firmato sempre da Procacci, che ieri è andato a ruba come gli autografi e i selfie con l’ex campione alla fine dello show. A subire le “angherie” dell’Adriano, il regista e Stefano Semeraro, direttore de “Il tennis italiano”, la prestigiosa rivista capostipite delle testate di settore.

Gli amici-rivali

Panatta ha dato il meglio di sé. Dopo avere definito se stesso e Bertolucci «una coppia di fatto», ha cominciato a “denigrare” il suo fraterno compagno di squadra: «Paolo lo uso come memoria storica, perché la mia perde colpi, spero sia solo la vecchiaia... Ma non parliamo di lui, è un tipo noioso. E poi devo stare attento che Pietrangeli ha spie ovunque…». “La Telefonata” quotidiana tra Panatta e Pietrangeli, amici fraterni, è diventata un podcast, sempre prodotto da Fandango. «Lui è un pavido, mentre io dico sempre tutto, sempre la verità. E poi Procacci taglia, censura».

I campioni di oggi e quelli di allora

Jannik Sinner, numero uno al mondo, mai citato: troppo diverso il gioco fisico dell’altoatesino dal suo, tutto genio e sregolatezza. Panatta ha invece elogiato la Paolini («Piccolina ma fortissima e brava tatticamente, altro che le gigantesche straniere che vanno a rete solo per salutare l’avversaria») e Musetti, nonché definito Federer “il Tennis”.

Quindi è stato proiettato un filmato inedito in cui si parla dell’ex campione Ilie Nastase, grande amico-rivale di Panatta. E qui mille aneddoti, i battibecchi (tra cui quello citato all’inizio) con Pietrangeli, siparietti meravigliosi: «Una volta Ilie mi stava surclassando in campo, 6-0 il primo set, nel secondo vinceva 4-0. Al che, durante un cambio campo, gli sussurrai all’orecchio: se me batti forte te meno. E lui mi rispose: e io chiamo Tiriac». Ion Tiriac, compagno di doppio di Nastase, è un altro ex campione romeno dal fisico imponente e dall’aspetto poco rassicurante, con due baffoni enormi, che, come ha raccontato Pietrangeli nel filmato, si mangiava i bicchieri di cristallo. Pare che lo facesse davvero…

Il mental coach

E ancora: «Oggi ogni giocatore tra i primi al mondo ha un enturage di dieci persone, tra cui il mental coach. Ma vi rendete conto? Non ci posso mensare alla figura del mental coach. Io impazzirei. E le racchette? Allora erano di legno, io facevo in modo che Nastasera le scegliesse storte… Ora invece sono tutte perfette, pesate al milligrammo: che vita di m... Ai miei tempi era diverso, eravamo tutti amici, ridevamo sempre. Ecco, forse solo a Pietrangeli sarebbe servito il mental coach...».

Finalista senza biglietto

Gustosissimo il finale. Prima la volta in cui agli Internazionali di Roma era finalista, ma non volevano farlo entrare perché non riconosciuto dall’addetto all’ingresso atleti e sprovvisto di biglietto. «Gli dissi: guarda, sai che sta per accadere qui oggi? C’è una finale importante tra due giocatori. Ecco, io sono uno di quei due, quindi se non mi fai entrare la finale non si gioca, che dobbiamo fare? Ma lui era inflessibile. Al che gli dissi: guarda, io non ho problemi e me ne vado a casa. Poi però ti do un consiglio, lo dico per te. Vai dal direttore del torneo e digli che Panatta se n’è andato. Credimi, fallo che ti conviene. Io girai i tacchi e mi avviai alla macchina, un minuto dopo il direttore del torneo mi inseguiva lungo i viali del Foro Italico… ».

Senza scarpe a Parigi

Sparietto bellissimo a Parigi. «Dovevo giocare la finale nel ’76 al Roland Garros, ma quel giorno non trovai le mie scarpe Superga. Quel “simpaticone” (in realtà ha usato un altro termine, ndr) di Bertolucci me le aveva portate via. E in Francia le Superga non le vendevano, ma io mica potevo giocare la finale di uno Slam con scarpe sconosciute! Così chiamai un amico che gestiva un negozio a Roma, gli spiegai l’accaduto. Lui andò a prendere le scarpe, le portò a Fiumicino, le diede al capo-scalo che le consegnò al pilota del Roma-Parigi, un tassista si recò all’aeroporto di Orly, prese la scatola e me la portò per tempo».

Le due bottiglie di vodka di Borg

Gustosissmo il finale. Imbeccato dal noto “Bekér” Fabrizio Nonis – volto noto dei programmi culinari in tv, presente in platea – il racconto di quando a Marbella, dove si trovava per una esibizione molto ben pagata, la sera prima della finale con Björn Borg, andarono assieme in discoteca. «Io ero tutto tirato, in gran forma, stavo attento perché di lì a poco dovevo giocare in Coppa Davis.

Borg, invece, aveva voglia di divertirsi e iniziò a bere. Gli dissi: Björn, controllati che domani dobbiamo giocare, che cavolo fai. E lui: no problem my friend, tanto giochiamo io contro di te, siamo qui insieme, che problema c’è? Così a mezzanotte si era bevuto due bottiglie di vodka, era ubriaco fradicio, non stava in piedi e dovetti portarlo a spalla in albergo. Lo lasciai nella sua camera che era praticamente svenuto. E già mi pregustavo il premio: al finalista 50 mila dollari, al vincitore 120 mila, c’era una bella differenza. Visto lo stato del mio rivale me li sentivo già in tasca. Al mattino però si alzò prima di me, lo incontrai nella hall, gli chiesi come stava. Lui: benissimo. Io: neanche un reflusso, un po’ d’acidità di stomaco? Fatto sta che era incredibilmente perfetto. E ovviamente mi battè 6-2, 6-2»

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