Le cinque mosse di Mario Draghi: riforme radicali per ridisegnare l’Europa
Energia e tecnologia, clima, inclusione sociale, soluzioni per 10 settori economici: in 400 pagine i contenuti del Rapporto anticipato a Bruxelles agli ambasciatori dei 27 Paesi

Stavolta tutto deve cambiare perché poco, o nulla, resti come prima. All’Europa che vagola fiacca in una palude infestata da diseguaglianze crescenti e velenosi estremismi, Mario Draghi chiede riforme senza precedenti e trasformazioni radicali.
«Serve un’Unione adeguata al mondo di domani», è il pensiero dell’ex numero uno della Bce ed ex premier italiano. In pratica, si deve ripensare «il modo in cui siamo organizzati, i processi decisionali e i meccanismi di finanziamento, progettati per un mondo che non c’è più».
Bisogna farlo e pure in fretta. I dati congiunturali del Continente, la crisi sociale, i risultati elettorali e lo scenario geopolitico testimoniano che perdere un’altra legislatura potrebbe essere fatale.
La ricetta messa a punto dall’ex banchiere centrale su richiesta della Commissione Ue, testo che idealmente dovrebbe servire da bussola per il Team von der Leyen nei prossimi cinque anni, è un documento di circa 400 pagine che sarà ufficializzato lunedì 9 settembre.
Mercoledì 4 a Bruxelles, Draghi lo ha illustrato agli ambasciatori dei Ventisette e all’ufficio di presidenza dell’Europarlamento, evidenziando l’esigenza di un rafforzamento della cooperazione fra le capitali per dare una svolta risolutiva al patto a dodici stelle.
«L’Europa si è concentrata sulle cose sbagliate», sostiene l’ex presidente del Consiglio: si è fatta concorrenza nei settori in cui avrebbe dovuto privilegiare gli interessi comuni e, così, ha finito per indebolirsi.
Le fonti riferiscono che il Rapporto Draghi si fonda su cinque macro-capitoli: industria e produttività; energia, tecnologia e riduzione delle dipendenze; clima; inclusione sociale; soluzioni per dieci singoli settori economici.
La preoccupazione che permea il documento, e da cui dipende buona parte del risultato auspicato, è l’assenza di una strategia per proteggere le imprese tradizionali da condizioni di disparità globali dovute ad asimmetrie nella regolamentazione, nei sussidi e nelle politiche commerciali.
Una mancanza, questa, che si sposa con la debolezza dello sforzo volto ad assicurarsi le risorse e gli strumenti necessari per partecipare alla rivoluzione digitale.
Stando alle indiscrezioni, il Rapporto suggerisce misure sulla neutralità tecnologica, una più efficace politica di coesione regionale, modifiche alle regole sugli aiuti di Stato che assicurino un terreno di gioco uguale per tutti.
Vale per le imprese come per i lavoratori. In aprile, presentando le prime linee del documento, Draghi aveva criticato le contraddizioni europee in campo sociale: «Abbiamo deliberatamente perseguito una strategia basata sul tentativo di ridurre i costi salariali l’uno rispetto all’altro in aggiunta a una politica fiscale pro-ciclica, con l’unico risultato di indebolire la nostra stessa domanda interna e minare il nostro modello».
L’offensiva parte di qui. Dall’economia che, nonostante i proclami, avanza a passo di lumaca per colpa di una domanda più debole del previsto. Nello scrivere il suo rapporto, Draghi ha ragionato su un Industrial deal sinora mai visto dalle nostre parti.
Per realizzarlo chiede ai Ventisette un partenariato che comprenda l’accesso congiunto al mercato dei capitali, per finanziare il rilancio in modo analogo con quanto fatto dopo la pandemia.
I finanziamenti devono dare la carica al Pil, tutelare i lavoratori, evitare i disastri del cambiamento climatico e garantirci in un mondo che va in fiamme. La Difesa comune e l’attenzione all’industria europea sono fra i pilastri delle grandi manovre proposte all’Ue.
Nuovi meccanismi decisionali, auspicabilmente con la limitazione del voto all’unanimità, sono caldamente consigliati.
L’esperienza insegna che i grandi Rapporti europei fanno una brutta fine quando scendono a terra. Gli archivi di Bruxelles traboccano di libri bianchi e verdi dimenticati. La differenza è che i tempi sono particolarmente duri e pericolosi e che, nonostante la minoranza rumorosissima, c’è ancora ben più della metà dei cittadini comunitari che crede nell’integrazione e si aspetta un responso e un aiuto dall’Unione.
I governi nazionali possono farsi spaventare dai pochi e stare fermi. Oppure stare coi tanti e fare veramente la differenza in un’Europa troppo più debole e storta di quello che serve.
È vero, come disse a fine Ottocento Giovanni Giolitti con una metafora d’altri tempi, che per un sarto è difficile tagliare un vestito diritto per un gobbo. Ma siamo nel 2024. Se si vuole, e si ha il coraggio, ci sono tutte le tecniche e le conoscenze per raddrizzare il paziente.
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