Il mondo del calcio in ansia per Schillaci, l'eroe delle notti magiche in un calcio più umano

Totò ricoverato in ospedale a Palermo in gravi condizioni. Idolo di Italia ’90 da un paio d’anni sta curando un tumore

Giancarlo Padovan
Salvatore Schillaci, Italy, celebrates goal versus Argentina in the semi-final (Photo by Ross Kinnaird/EMPICS via Getty Images)
Salvatore Schillaci, Italy, celebrates goal versus Argentina in the semi-final (Photo by Ross Kinnaird/EMPICS via Getty Images)

La dolorosa riapparizione di Totò Schillaci, dopo un lunghissimo e dignitoso silenzio post carriera, coincide con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Da anni sta lottando con un tumore, fino a qualche mese fa sembrava addirittura che il male fosse stato sconfitto, ma da ieri la situazione sarebbe improvvisamente precipitata.

Forse non è neppure un caso che si torni a parlare dell’ex attaccante di Messina, Juventus e Inter proprio tra due partite degli azzurri.

Quella di venerdì sera, clamorosamente vinta in casa della Francia e quella di questa sera, contro Israele, a Budapest.

Schillaci, infatti, è stato il protagonista, quasi l’eroe, di Italia 90, il Mondiale casalingo in cui la Nazionale di Azeglio Vicini ci fece sognare fino alla semifinale di Napoli, persa ai calci di rigore contro l’Argentina di Maradona.

Partito come riserva di Gianluca Vialli, Schillaci fece innamorare gli italiani con i suoi gol (alla fine fu capocannoniere con sei reti) e soprattutto con le sue esultanze.

Ben lungi dai protagonismi attuali, Schillaci, che, come tutti, vestiva pantaloncini a mezza gamba, più vicini alla moda degli anni 70 che alle degenerazioni recenti, sgranava gli occhi fuori delle orbite, la bocca spalancata in un’espressione di stupore antico .

Come molti siciliani e, soprattutto, come tutte le persone che hanno conosciuto la povertà vera, a nessuno era dato capire se anche quella sua felicità assoluta confinasse con il dolore. La sua smorfia, prima che sorpresa per l’impresa compiuta, era desolazione.

Per tutto questo Schillaci è stato prima e dopo quel prodigioso exploit un eroe triste, non sempre capito, spesso poco integrato, si trattasse di calcio o di vita.

Nello spogliatoio di Torino, dopo un allenamento, tirò uno zoccolo addosso a Roberto Baggio ferendolo in viso. Gli saltò la mosca al naso perché Robi lo prendeva in giro per come parlava. Eppure il Mondiale italiano li aveva lanciati insieme e insieme si ritrovarono alla Juve dove avrebbero dovuto vincere tanto e continuare a stupire l’Italia. Non andò proprio così, anche se Totò conquistò una Coppa Uefa e una Coppa Italia.

Nulla, però, è stato come le notti magiche di Italia 90. Né il prima, né il dopo. Consumatosi tra l’Inter e la chiusura di carriera al Jubilo Iwata, un’esperienza affrontata con la nuova compagna e l’interprete perennemente a disposizione.

Sensibile e introverso, Schillaci è rimasto il ragazzo che ci fece delirare con la maglia azzurra, l’unica con la quale sia stato rispettato da tutti. Era un’altra Italia, eravamo altri italiani.

Il calcio, che non aveva imboccato ancora la strada del’overdose, era profondamente umano.

E di questa umanità Schillaci era prototipo inaspettato e irripetibile, l’uomo del meridione che, salito al nord, secondo un clichè ancora in auge, si era affermato attraverso il lavoro e la fatica. Certo, il suo calcio, era istinto ferino, accelerazione da baricentro basso, tecnica buona, ma non eccelsa, un’innata calamita per la porta.

In quell’estate meravigliosa in cui ci sentimmo più che mai italiani e furiosamente trascinati verso una meta straordinaria, Schillaci incarnava quello che ce l’aveva fatta a dispetto di tutto. E in queste ore di preoccupazione, nemmeno lo sgomento fa sbiadire il ricordo.

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