Fine vita, prima di morire Martina Oppelli ha denunciato l’Azienda sanitaria per tortura
Asugi ha negato per tre volte il suicidio assistito alla 50enne triestina malata di sclerosi multipla. Fedriga: “Sul fine vita non bisogna lasciarsi guidare dal singolo caso”

Martina Oppelli, prima di andare in Svizzera e accedere al suicidio assistito, ha depositato, tramite la sua procuratrice speciale Filomena Gallo, avvocata e segretaria nazionale dell'associazione Luca Coscioni, una denuncia-querela nei confronti dell'Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina Asugi, dalla quale aveva ricevuto tre dinieghi all'accesso al suicidio medicalmente assistito.
Lo ha annunciato oggi, durante una conferenza stampa a Trieste, Marco Cappato, tesoriere dell'associazione Coscioni.
Martina Oppelli ha contestato due reati principali all'azienda sanitaria: rifiuto di atti d'ufficio e tortura.
La denuncia
La donna triestina di 50 anni, da oltre 20 malata di sclerosi multipla, ha accusato l'Asugi e i medici della commissione di aver rifiutato di svolgere atti dovuti per legge.
L'azienda sanitaria - ha spiegato l'associazione Coscioni - aveva in passato negato a Oppelli la rivalutazione delle sue condizioni di salute, sostenendo che un nuovo esame sarebbe stato un costo inutile per la pubblica amministrazione. Oppelli aveva presentato un ricorso d'urgenza nel 2024 presso il tribunale di Trieste che aveva ordinato all'azienda sanitaria nuove verifiche. Inoltre, "non le è stato riconosciuto per oltre due anni il requisito della 'dipendenza da trattamento di sostegno vitale' (uno dei quattro requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale), nonostante dipendesse totalmente non solo dai suoi caregiver per sopravvivere ma anche dalla macchina della tosse e nelle ultime settimane dal catetere vescicale, disapplicando in tal modo il giudicato costituzionale".
Secondo Oppelli inoltre - ha aggiunto l'associazione - l'azienda sanitaria "non solo le ha negato un diritto, ma l'ha fatta soffrire inutilmente, causandole danni fisici e psicologici che per legge si configurano come una vera e propria forma di tortura". Così ha denunciato di essere stata "vittima di un trattamento inumano e degradante da parte delle istituzioni che hanno ignorato le sue sofferenze, costringendola a vivere per anni in una condizione di dolore estremo, aggravata dal rifiuto reiterato e immotivato di Asugi di riconoscerle l'accesso legale alla morte assistita".
La morte in Svizzera
La 50enne triestina affetta da sclerosi multipla da oltre 20 anni, è morta giovedì mattina in Svizzera, dove ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito.
È stata accompagnata da Claudio Stellari e Matteo D’Angelo, iscritti a Soccorso Civile, l’associazione che fornisce assistenza alle persone che hanno deciso di porre fine alle proprie sofferenze all’estero, e di cui è rappresentante legale Marco Cappato.
Il terzo No
Lo scorso 4 giugno, Oppelli aveva ricevuto il terzo diniego da parte della azienda sanitaria Asugi in merito alla verifica delle condizioni per accedere al suicidio medicalmente assistito: secondo l’azienda sanitaria non era sottoposta ad alcun trattamento di sostegno vitale, nonostante la completa dipendenza dall’assistenza continuativa dei caregivers e da presidi medici (farmaci, catetere e macchina della tosse).
Per questo motivo lo scorso 19 giugno Oppelli ha presentato un’opposizione al diniego, accompagnata da una diffida e messa in mora nei confronti dell’azienda sanitaria.
A seguito della diffida, era stata avviata una nuova procedura di valutazione da parte della commissione medica, ma Martina Oppelli ha deciso di andare in Svizzera per accedere all’aiuto alla morte volontaria perché era impossibile per lei attendere altro tempo per una risposta: le sofferenze non erano in alcun modo tollerabili.
Le parole di Fedriga
Sul caso Oppelli è intervenuto oggi anche il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga: "Penso che il Parlamento abbia la facoltà di scegliere in che direzione andare" sul fine vita. "Sicuramente è un caso toccante e molto intenso, ma voglio ricordare che l'Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina ha applicato in modo attento la sentenza della Corte" costituzionale e "devo dire altrettanto che norme di questo tipo non si possono basare su casi singoli, particolari, seppur drammatici, ma devono sempre avere una valenza di carattere generale". "Bisogna usare la razionalità".
"Purtroppo - ha osservato Fedriga a margine di un incontro a Trieste - in altri Paesi, dove si è legiferato sul suicidio assistito o addirittura sull'eutanasia, purtroppo la situazione è degenerata. Quando si abbassa l'argine, passa tutto e non si è più limitati soltanto a chi vive casi drammatici, come alcuni casi che vediamo e che sono fortunatamente limitati nei numeri, ma abbiamo casi in cui addirittura persone con depressione hanno avuto accesso al suicidio assistito. Per questo serve grande attenzione. Basare queste scelte sull'emotività seppur forte del momento da parte dell'opinione pubblica, e non c'è dubbio che ci sia su un caso così struggente, rischia di fare danni enormi".
"Non bisogna farsi guidare nel fare una norma, se si dovesse fare, sull'emotività seppur drammatica - ha concluso - ma bisogna usare la razionalità di sapere che quelle norme poi valgono per tutti e dove porteranno quelle norme".
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