Carabinieri uccisi, il gip: «Tutti e tre i fratelli Ramponi complici della strage»
Più pesante il ruolo di Maria Luisa: ha acceso la fiamma innescando l’esplosione. Dino ha dato il via libera alla sorella e Franco, complice, era scappato nei campi. «C’era la precisa volontà di mettere
a repentaglio la vita di più persone»

Accusati tutti e tre di concorso in strage, sia pure con ruoli diversi. Più critica la posizione di Maria Luisa Ramponi, bollata come l’esecutrice materiale.
Allarme ci stanno attaccando
«Allarme, ci stanno attaccando» è stato l’urlo di Dino Ramponi, la notte del 14 ottobre, mentre usciva di corsa dalla casa di via San Martino a Castel d’Azzano nel Veronese, pochi istanti prima dell’esplosione. Urlo che viene considerato un via libera dato alla sorella per mettere a segno il piano da tempo minacciato. Piano che prevedeva di far saltare in aria l’abitazione, pur di non cedere al decreto di liberare la casa firmato dal giudice dell’esecuzione.
È quanto scrive il gip Carola Musio, firmataria dell’ordinanza di convalida dell’arresto e di applicazione della misura massima del carcere a carico dei tre fratelli Ramponi (per ora in cella sono solo i due maschi; Maria Luisa, in coma farmacologico, è intubata in Terapia intensiva).
L’innesco dato da Maria Luisa Ramponi
Scrive il gip: «Se il materiale innesco dell’esplosione deve essere attribuito all’indagata Maria Luisa Ramponi, che ha acceso la fiamma di un accendino nell’ambiente saturato di gas e cosparso di benzina, non vi è alcun dubbio in merito al concorso non solo morale e materiale dei fratelli Franco e Dino nel delitto di strage».
Nel provvedimento di 16 pagine, il gip ricostruisce la drammatica notte del blitz da parte dei reparti speciali e delle forze dell’ordine come il precedente del 18 novembre 2024.
Quest’ultimo aveva giustificato il decreto di perquisizione destinato a scatenare l’inferno. L’obiettivo era cercare armi anche rudimentali. Quella casa era da tempo disseminata di bombole di gas, già aperte nel novembre dello scorso anno quando il custode giudiziario era andato a notificare l’ordine di liberazione dell’immobile.
I tre fratelli erano saliti sul tetto, avvisando che avrebbero lanciato una bottiglia incendiaria nella canna fumaria. E la minaccia aveva fatto desistere le forze dell’ordine dall’intervento.
La casa pignorata
La casa e altri beni erano stati pignorati. E i Ramponi avrebbero dovuto lasciarli. Il motivo? Un prestito concesso a Franco dal Credito Padano-Banco di Credito non pagato: la procedura esecutiva è del 2018 ma fin dal primo tentativo di visionare i beni destinati all’asta, l’ufficiale giudiziario si è ritrovato in guerra con i fratelli Ramponi.
Dopo l’esplosione di quattro giorni fa, otto le bombole recuperate, tra cui due bottiglie incendiarie pronte all’uso sul tetto della stalla (per uccidere le mucche) e poi altre due bombole mentre porte e finestre dell’abitazione erano state “blindate” con spranghe di ferro e tavole di legno.
Le riprese effettuate da otto body cam indossate dai carabinieri hanno confermato le minacce di Maria Luisa qualche istante prima di innescare l’accendino nella stanza satura di gas dov’era stata raggiunta da alcuni carabinieri: «Vi ammazzo tutti, bastardi... Vi faccio saltare tutti».
Il blitz
Poi le urla dei militari: «Ferma, stai ferma. C’è puzza di gas ...». Un altro agente stava salendo le scale quando ha visto davanti a lui una fiammata che lo investiva. D’improvviso è stato respinto dall’onda d’urto. Maria Luisa, però, non si è fermata. E, pur ferita, ha continuato nel suo delirio.
Si legge nell’ordinanza: «La Ramponi continuava a ripetere che vi erano altre bombole pronte. E poi ”Ve lo avevo detto che sarebbe accaduto... Ora siete felici che avete la casa, vi ho fatto esplodere, vi ho ammazzati”».
Per il gip è la conferma della pianificazione di quanto accaduto. I fratelli Ramponi non avevano accettato nemmeno la mediazione del prefetto e del vicesindaco per una soluzione abitativa diversa. Sempre a ottobre Dino si era cosparso di liquido infiammabile, minacciando di darsi fuoco. E a ogni tentativo di accesso, la casa era saturata con il gas e le bottiglie incendiarie venivano posizionate sul tetto.
Dopo la tragedia, se Franco era fuggito nei campi, Dino era tornato a casa urlando: «Ve l’abbiamo fatta pagare». Il gip è sicuro: la paternità dell’azione è condivisa dai tre fratelli che hanno continuato a inveire «convinti di essere nel giusto con lucida pervicacia».
Socialmente pericolosi
Infine il gip ha osservato che la casa dista 26 metri da un’abitazione e rispettivamente 33 e 43 metri da altre due residenze: «La potenzialità del mezzo usato comporta la loro piena consapevolezza e precisa volontà di porre in essere azioni in grado di mettere a repentaglio la vita di più persone. Evento verificatosi nei confronti di tre vittime». Non ci sono dubbi: i fratelli Ramponi sono socialmente pericolosi. E vanno spediti in carcere. —
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