Caso Oppelli, parla Beppino Englaro: «Eluana e Martina due casi diversi ma stessi diritti negati»
Il padre di Eluana torna a chiedere una legge chiara sul fine vita: «La politica è ferma, ma la società è più avanti. Nessuno dovrebbe essere costretto a emigrare per morire con dignità»

«Inconcepibile non si sia ancora venuti a capo in maniera definitiva delle tematiche bioetiche riguardo persone in determinate, tragiche situazioni». Beppino Englaro cerca di trovare un filo che unisca due vicende che considera, però, «molto diverse»: quella di sua figlia Eluana, morta nel febbraio 2009 a Udine dopo 17 anni passati in stato vegetativo a seguito di un incidente stradale, e quella di Martina Oppelli, la cinquantenne triestina che ha interrotto volontariamente la sua sofferenza accedendo al suicidio assistito in Svizzera.
Vicende diverse perché?
«Quello di Eluana è un grande caso costituzionale. Nessuno, prima di allora, aveva rivendicato l’autodeterminazione terapeutica nella condizione di incapacità di intendere e volere. Al centro della Costituzione c’è la persona con la sua dignità. Ed è su questo concetto che ci siamo battuti per tanti anni. Nel caso della signora Martina, invece, si parla di nuovi diritti che il Parlamento deve ancora riconoscere».
La sua battaglia iniziò il 18 gennaio del 1992, il giorno dell’incidente?
«Sì. Il giorno in cui per mia moglie e per me Eluana è morta, perché non è stato più possibile un contatto con lei. Da allora nessuno ha tenuto conto della scelta che lei avrebbe fatto: il rifiuto delle terapie, come era emerso negli approfondimenti in famiglia sullo specifico caso dell’incidente, un anno prima, dell’amico Alessandro».
Come ha vissuto la storia di Martina Oppelli?
«Quando una persona è capace di intendere e volere, ha il diritto di disporre della propria salute come desidera, fino alle conseguenze più estreme. È un principio sacrosanto. Ma ho vissuto questa storia senza mai dimenticare che nel 1992 io mi sono trovato nel deserto».
Come reagì?
«Per quattro anni ho fatto presente cosa avrebbe voluto Eluana. Dopo il chiarimento dello stato clinico da parte dei sanitari e le possibili incognite sul futuro, spiegai che mia figlia avrebbe scelto di lasciare accadere la morte. Un diritto già allora, eppure i medici dissero di no. Ho bussato a porte chiuse e solo più tardi la Consulta di bioetica di Milano mi ha aiutato a portare avanti questa battaglia. Da lì è iniziato un percorso lunghissimo, e abbiamo visto come il Parlamento si è comportato: ostacolando un cittadino che rivendicava libertà e diritti fondamentali».
Qualche politico, pure di centrodestra, fu dalla sua parte.
«Li ricordo bene. Ma ricordo bene anche quando si tentò di fermare il processo del morire di Eluana. Il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, e accanto a lui c’era Giorgia Meloni, allora giovane ministra, che condivideva quella linea».
Perché non è stata ascoltata la signora Oppelli?
«Perché non ci sono risposte nemmeno per i nuovi diritti, per consentire a persone come Martina di scegliere in serenità. Ecco perché è stata costretta a fare quello che ha fatto».
Per responsabilità di chi?
«Lo stato culturale del paese non era pronto ad accettare la rivendicazione del diritto fondamentale costituzionale per Eluana. Noi genitori davamo per scontato che potessimo dar voce a nostra figlia, far valere la sua scelta. La politica, in tutto questo tempo, è rimasta latitante su questi temi. E lo è pure oggi sull’avanzamento dei nuovi diritti. La responsabilità è del Parlamento, i cittadini la pensano diversamente. La società è più avanti delle istituzioni».
Perché a Roma non si è ancora deciso?
«Bisognerebbe chiedere ai tre grandi partiti quali sono le loro paure e qual è il motivo dell’attuale mancato rispetto delle precise indicazioni date dalla Corte costituzionale alla Camera».
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