Porter apre il Volo del Jazz: quel cappellaccio è la mia vita

PORDENONE. «Una persona che ha attraversato la vita può creare quel senso di profondità e insieme di esetetica nella propria musica». La spiega cosí, la sua voce, Gergory Porter, protagonista di apertura del “Volo del Jazz” alle 20.45 di lunedì 3 novembre nell’ormai tradizionale spettacolo di anteprima al Verdi di Pordenone, in esclusiva per il Nord Italia. La deve spiegare, infatti, la magia della sua voce.
Dire come mai è cosí ricca e intensa e perché insieme a questa intensità riesce a esprimere una profondità cosí insolita per un giovane cantante. Per i jazzofili Gergory Porter è una recente sopresa, visto che la sua carriera è davvero fulminante. Consolidato il riconoscimento con il Grammy Award vinto nella categoria per il miglior disco jazz vocale con “Liquid Spirit” uscito l’anno scorso, le tracce di Gregory Porter non vanno molto indietro nel tempo. Settimo di otto figli, con una madre che li ha cresciuti tutti da sola, una carriera interrotta nello sport e mille tentativi di cercarsi uno spazio, sono alcuni tratti della sua biografia.
«Ho avuto dei problemi di salute e una lunga storia d’amore che si è conclusa - ci spiega con una voce che anche a sentirgli leggere l’elenco telefonico emoziona - e quando attraversi dei momenti emotivamente molto impegnativi puoi raccogliere qualcosa che ti aiuterà quando poi risali a galla. Se li attraversi, questi momenti, allora le cicatrici che ti rimangono ti aiuteranno in ogni circostanza successiva».
Ma attenzione a non farsi l’impressione di una persona malinconica e triste, Gergory Porter è tutt’altro, gioviale e dinamico, gioca con il mistero di quello strano copricapo con una specie di passamontagna ad avvolgergli il mento e le orecchie e che da quando è arrivato al successo indossa in ogni concerto.
Girano ipotesi diversissime sul perché e alcune di queste giurano che sia per nascondere un’operazione chirurgica «Non fatevi tante fantasie - scherza Gregory Porter - se volete sapere come mai lo indosso, ecco la spiegazione: ci sono nato con questo cappello, ecco il perché!».
Nato a Los Angeles nel ’71 e cresciuto a Bakersfield in California è arrivato al successo piú tardi di quello che si aspettava. «La carriera professionale attraversa degli alti e bassi - racconta Gregory Porter - intorno al 2000 lavoravo in uno show a Broadway e c’era una grande energia, ho inciso con Hubert Laws e suonato con Wynton Marsalis, e poi si è fermato tutto».
Racconta una storia di sua madre, la sua piú grande fan, che quando lui aveva 13 o 14 anni, affittò un teatro per un suo spettacolo, da sola si stampò i biglietti e andò a venderli casa per casa. Una donna che era una guerriera e che insieme al suo lavoro di infermiera affittava edifici abbandonati per predicarci l’evangelo, e curare nello spirito chiunque ne avesse bisogno. Parla di una donna che prima di lasciarlo a causa di un tumore al seno, per convincerlo a dedicarsi interamente al suo dono piú grande, la voce e il jazz gli disse: «Gregory, il tuo talento ti darà un posto per sederti alla tavola dei re». Quasi una profezia, che si è avverata quest’anno con un concerto per la regina d’Inghilterra. «Aveva ragione! Oltre ai regnanti veri - aggiunge Gregory Porter - ci sono anche quelli che per me sono dei veri re, come Smokey Robinson che ha cantato un mio brano, o Mavis Staple, Erykah Badu, Jill Scott e ancora Stevie Wonder col quale ho cantato insieme recentemente, è stato travolgente, mi creda».
Sul palco del Verdi Porter presenterà “Liquid Spirit” in quintetto con Chip Crawford al piano, Aaron James al basso, Emanuel Harrold alla batteria e Yosuke Satoh al sax.
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