L’inedito“Non uccidere”: uno sguardo sul mondo con Pierluigi di Piazza

Laterza pubblica un’antologia di scritti e pensieri del “prete eretico di Zugliano”. Il volume sarà presentato domani alle 10 in un incontro nell’ex chiesa di San Francesco

Angelo Floramo

Domenica 7 maggio, alle 10, nella Chiesa di San Francesco, sarà presentato il nuovo libro di Pierluigi Di Piazza Non uccidere. Per una cultura della pace (Laterza). Intervengono Vito Di Piazza e Gabriella Caramore, autrice della trasmissione di Radio3 Uomini e Profeti, direttrice della collana di spiritualità al la casa editrice Morcelliana. Tra i suoi ultimi libri: La parola Dio (Einaudi 2019). Modera Paolo Mosanghini, direttore del Messaggero Veneto.

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Confesso la grande emozione che sgorga prepotente dentro di me nell’aprire questo nuovo, ultimo libro di Pierluigi Di Piazza. Primo perché Pierluigi non c’è più. Almeno non nel modo in cui eravamo abituati a incontrarlo sulle strade del Mondo, nell’impegno tutto umano di ricercare negli altri il volto di quel Cristo che così tanto amava, come lui sempre fuori dal Tempio, tra coloro che non hanno voce, da buon Samaritano più che da Levita.

Dal momento che “il levita rappresenta l’immagine del conformismo, delle frasi fatte, dei luoghi comuni: dell’ubbidienza «non virtù, ma subdola tentazione», come continuano a insegnarci don Milani e i suoi ragazzi di Barbiana”.

E poi perché mi manca la pienezza del suo dire, la profondità del suo pensiero, messo insieme in grammatiche essenziali con una semplicità tale che le sue parole arrivavano sempre a tutti, vestite di dolcezza e di umana comprensione pur gridando contro l’arroganza del potere e l’ingiustizia scellerata dei più forti, rinunciando a ogni facile compromesso, specialmente quando coloro che gestiscono la cosa pubblica vengono meno al loro dovere: “la politica stessa dovrebbe essere attraversata dall’amore verso le persone nelle loro condizioni concrete, verso il bene comune da perseguire con continuità”.

Quando Vito Di Piazza, mi ha chiamato per chiedermi questa breve recensione, il timbro della sua voce, così simile a quella del fratello, colorata dall’accento inconfondibile di “Tualias”, ha riaperto in me fortissimo un senso di nostalgia, una voragine di ricordi e di insegnamenti che le pagine dell’importante raccolta che ho per le mani hanno aiutato, nelle ultime settimane, rispettivamente a stemperare e a rianimare.

Si tratta di una ricca antologia, un florilegio di scritti e pensieri raccolti fra i tanti interventi in cui il “prete eretico di Zugliano”, come ebbe a definirlo un’anima infelice, si spese nell’arco di una decina d’anni, tra il 2002 e la sua morte, avvenuta il 15 maggio dello scorso anno.

Il materiale è vario, ma legato da un filo conduttore formidabile, e cioè l’attenzione critica e vigile che Pierluigi sapeva rivolgere ai problemi cruciali del nostro tempo. Si tratta di articoli, conferenze, incontri pubblici sui temi più diversi, sempre stimolati dall’urgenza di un impegno infaticabile, che gli consumava le scarpe e la salute, mantenendogli sempre vivo e acceso lo sguardo sul Mondo.

Di Piazza era innamorato dell’Umano, tanto da cercarlo perfino nel Divino, convinto che la fede da lui professata fosse rivoluzionaria proprio per questo, dal momento che raccontava la storia di un Dio che ogni giorno si fa Uomo per un amore incontenibile, quella carità che vince addirittura sulla Sapienza e sulla Fede.

Perché l’amore “è la forza della vita: senza amore non si può vivere in modo significativo; la mancanza di questa decisiva esperienza quando siamo piccoli si ripercuote nella nostra vita; le ferite causate da questa privazione e, peggio ancora, dalla trasformazione della relazione in violenza e abuso, segnano con drammaticità il nucleo affettivo che a poco a poco potrà guarire, con tante difficoltà, solo ricevendo un amore profondo, caldo, pulito, trasparente e concreto, di vera vicinanza e di tangibile sostegno.

Per questo considerava un tradimento imperdonabile quello della Chiesa istituzionale, così incline a dimenticarsi degli ultimi rintanandosi nell’asettica inutilità delle Curie. Sfogliando queste pagine ci si rende conto di quanto sia attuale il pensiero del loro autore.

Quando parla di Dio lo fa sottolineando che ha sempre a che vedere con la Liberazione. Un concetto capace di far tremare i precordi di ogni coscienza, quando oggi sono in troppi coloro che sarebbero disposti a declinare dall’esigenza della Libertà preferendole quella dell’Utilità o della Sicurezza. Indagava le ferite, Pierluigi, e lo faceva con il coraggio di chi sa di doversene prendere cura, per “riuscire a mettere insieme il personale e il comunitario, il sociale e il politico, le nostre comunità e quelle di tutto il pianeta”.

Mondialismo, giustizia sociale, accoglienza e pace diventano, nei sette capitoli in cui si snoda il testo, i paradigmi di ogni civile cittadinanza, in cui la città dell’Uomo viene sempre prima di quella di Dio. E un Dio che non lo ammette o peggio non lo comprende, non è certo il vero Dio in cui credere. Riconosco in ogni capitolo l’inchiostro sincero attinto in quella santa povertà che da bambino l’autore aveva ingoiato nella sua Carnia, percependo assieme al fratello Vito, come spesso amava ricordare, l’insegnamento dei genitori. In questo clima fecondo ha potuto certamente maturare la consapevolezza per cui “è necessario «un altro mondo» per non cadere nella disumanità”.

Sono molti i riferimenti culturali e umani che hanno illuminato le erranze di Pierluigi, il cui profilo si staglia netto, pagina dopo pagina, ad arricchirne di significato i contenuti. Tra i tanti Ernesto Balducci e Óscar Romero. In questi tempi feroci in cui le guerre continuano a funestare il nostro presente, sembrano profetiche le parole del vescovo sudamericano, che Pierluigi riporta facendole proprie: “Nessun soldato è tenuto a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio.

Una legge immorale nessuno deve adempierla”. Il titolo di questo bellissimo manuale di civile condivisione, scelto per legare insieme verità così tanto profonde, è il quinto comandamento della legge di Mosè. Ma le parole che l’autore utilizza non sono scolpite sulle tavole di pietra, bensì dentro alla carne viva dei più deboli, a graffiare la coscienza addormentata di ciascuno di noi, dal momento che non uccidere “riguarda i 100 bambini che muoiono ogni minuto di fame e di malattie endemiche curabili, mentre nello stesso minuto si spendono due miliardi e mezzo di vecchie lire per le armi”.

In queste settimane che accompagnano il ricordo di Pierluigi a un anno dalla sua morte rileggerò queste sue riflessioni per fare anche mia quella verità di cui lui si fece appassionato banditore: “La speranza senza amore può facilmente diventare illusione; quando si affievolisce e si indebolisce, si può riprendere nella relazione con persone che, mosse dall’amore, si rendono concretamente disponibili e mettono in atto segni di verità, giustizia, pace, cura della casa comune, autentica solidarietà, fraternità”.

Proprio questo Pierluigi è stato. Proprio per questo Pierluigi ancora vive. Buona lettura.

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