Copa 71, il calcio dimenticato: la friulana Elena Schiavo racconta la storia del trofeo femminile in Messico

Il ricordo della giocatrice: «I miei non mi facevano giocare, ma io ero una ribelle»

Gian Paolo Polesini
La friulana Elena Schiavo racconta a Pordenone il mondiale femminile del 1971 in Messico
La friulana Elena Schiavo racconta a Pordenone il mondiale femminile del 1971 in Messico

«Incredibile amici», direbbe l’Altafini cronista televisivo di fronte a una prodezza calcistica.

Lo stesso diciamo noi sui titoli di coda di “Copa 71”, docu a firma di Rachel Ramsay e di James Erskine, che “Pordenone docs Festival” ha fatto suo, in programmazione venerdì 12 aprile, alle 17.45, in sala grande a Cinemazero.

Se un po’ il calcio vi attizza, il film è quasi imperdibile. Detto ciò è bene sapere chi prende a pallonate la sfera di cuoio: molte femmine, stavolta, cari signori.

E la “Copa 71” null’altro è che la Coppa del mondo di calcio femminile, evento pazzesco tenuto insabbiato per cinquant’anni. Perché? Bella domanda.

La competizione andò in scena nel 1971, appunto, in Messico in ben due stadi: l’Azteca (110 mila spettatori) e lo Jalisco di Guadalajara (enorme pure quello), col totale coinvolgimento di migliaia e migliaia di persone e con sponsor, televisioni e stampa in evidente fibrillazione.

Un fenomeno talmente ingestibile da far saltare qualunque sistema di controllo, compresa la potentissima Fifa. E, dunque, i padroni del calcio che fecero? Vietarono i grandi stadi alle donne, nascondendo di fatto alla storia questo clamoroso successo. Per capire la tempra della sparizione forzata, ci è bastata la reazione della due volte campionessa del mondo Brandi Chastain alla vista di alcuni fotogrammi dell’epoca. «Pazzesco! Non sapevo nulla di questa vicenda», dice incredula.

Figuriamoci noi.

Riemergono i volti di chi c’era in quell’estate inizio Settanta: i registi hanno scovato giocatrici italiane, danesi, francesi, messicane, argentine, inglesi e tutte con ancora negli occhi quell’avventura irripetibile. La nostra Elena Schiavo, capitana, è di Cormons. «I miei non mi facevano giocare — racconta la giocatrice friulana — ma io ero una ribelle».

In Gran Bretagna nel 1917 il pallone al femminile pareva lanciatissimo con un centinaio di squadre seminate per la nazione. Finché alcuni medici pubblicarono articoli sui possibili danni alla salute delle signore che calpestavano i rettangoli erbosi. “Seno e ovaie a rischio per chi calcia un pallone”, questa è stata la sentenza dello studio.

E così la gran parte di federazioni europee s’inchinarono alla scienza. In Italia e in Brasile giocare era diventato addirittura un reato. Uno sport improvvisamente costretto all’invisibilità. Di ragazze con gli scarpini chiodati ce n’erano in giro, ma i loro palleggi avvenivano in gran segreto. La Fifa sentenziò: «Lo spettacolo che promettono le donne è immorale, indecoroso e disdicevole».

Poi nei Sessanta alcune giovani ladies ripresero a praticare con meno restrizioni e ciò che balenò nelle zucche di certi imprenditori messicani fu un business proprio con le giocatrici. E ci presero in pieno.

La presentazione delle sei squadre fu davvero degna di una Olimpiade, tenendo presente che lo stadio di Città del Messico è uno dei più imponenti del pianeta, fate voi.

A quel punto la narrazione piglia la rincorsa e decolla come gli aerei dei Top Gun sulle portaerei. Arrivano a valanga i filmati sulle gare e, non conoscendo il risultato, stai lì con apprensione, ma pensa te. La mascotte era Xochitl, una specie di pin up stilizzata il cui nome ricordava quello di una famosa guerriera messicana vissuta secoli prima. La squadra di casa vinse il primo incontro: 3 a 1 all’Argentina.

Le sudamericane, poi, affossarono per 4 a 1 l’Inghilterra. L’Italia della Schiavo batté la Francia 1 a 0, pareggiando uno a uno con la Danimarca.

In semifinale le azzurre incontrarono le ragazze di casa. L’arbitro annullò ben due gol alle italiane e in campo si scatenò la rissa. Vincerà la Danimarca, 3 a 0 sul Messico. Un silenzio improvviso riempì l’Azteco. La festa si fermò.

Una corsa emozionante cancellata dalla Storia per colpa degli uomini invidiosi di un trionfo così netto da parte di chi dovrebbe girare il risotto e non fare gol.

Ma nel 1991 la Coppa del mondo femminile tornò a sparigliare le carte al maschio, però — quella volta — nessun uomo osò alzare zolle.

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto