Volontari dell’Avo: 2.500 ore a favore di chi rivuole la propria vita

Un migliaio i pazienti che ogni anno transitano al Gervasutta Il direttore Zampa: 90 posti letto per superare la malattia
Di Alessandra Ceschia

Era una ragazzina di 17 anni con tanti progetti quando è stata colpita da un’emorragia cerebrale, un fatto che l’ha costretta a riazzerare il contatore della sua vita e a ricominciare da capo. Lui, avvocato di mezz’età, con due figlie a carico, aveva una carriera avviata quando è arrivato l’ictus e gli ha sconvolto la vita.

Sono due delle tante storie che, all’Istituto di medicina fisica e riabilitazione Gervasutta, hanno un nome, una faccia, un’identità ben precisa e un cammino in salita da compiere, alcune volte in solitaria.

Per camminare al loro fianco e aiutarli ad emergere dalla nebbia della disabilità, fisica e mentale, nel corso dell’ultimo anno i volontari dell’Avo, una quarantina in tutto, hanno investito 2.500 ore.

Ieri, i componenti dell’associazione volontari ospedalieri si sono riuniti al Gervasutta per celebrare la giornata mondiale dell’Avo, fondata a Milano nel 1975 dal professor Erminio Longhini, medico decorato con medaglia d’oro al merito della Sanità pubblica dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2004. Oggi Avo conta complessivamente 246 sedi che operano in oltre 400 ospedali e altre strutture di ricovero.

«Ciascuno di noi – sintetizza il presidente Mario Maras – dedica due ore alla settimana del suo tempo agli ospiti del Gervasutta o all’Hospice, offriamo amicizia, ascolto e aiuto a persone che soffrono a causa di patologie che minano le loro capacità motorie o intellettive. Noi siamo qui per rompere l’isolamento, la solitudine, per impedire che alla malattia si aggiunga l’emarginazione».

E proprio la solitudine è uno dei grandi problemi che attanagliano la città. A denunciarlo è stato l’intervento dell’assessore comunale alla salute Simona Liguori che ha parlato delle tante persone sole, «uomini o donne che molto spesso hanno più di 65 anni – ha riferito l’assessore – e ritrovarsi soli in casa o in un reparto ospedaliero spesso è molto difficile» ha osservato rivolgendo un ringraziamento ai volontari per la loro attività.

Un contributo importante all’interno del Gervasutta, dove attraverso le degenze, l’attività in day hospital e quella negli ambulatori ogni anno oltre un migliaio di pazienti si riappropriano lentamente della loro vita superando la malattia, come ha spiegato Agostino Zampa, direttore del Dipartimento di medicina riabilitativa del Gervasutta. «Nella nostra struttura che conta una novantina di posti letto – ha sintetizzato – curiamo pazienti che hanno lesioni al midollo spinale, cerebrolesioni, alcuni sono reduci da un ictus o da uno stato di coma, le permanenze di solito sono lunghe e possono andare dai due agli otto mesi».

Non di rado i familiari dei pazienti, quando ci sono, sono spossati da una lunga stagione di preoccupazioni e da un iter ospedaliero difficile. Ecco quindi che il ruolo dei volontari diventa importante. Fra i progetti avviati anche grazie alla loro presenza c’è il giornalino “GervasuttaOggi”, giunto al secondo numero, realizzato da una redazione composta da operatori, pazienti e volontari. Un progetto sperimentale coordinato dallo psicologo Paolo Lindaver. «Per queste persone il recupero delle funzioni collegate ad azioni complesse finalizzate è faticoso – ha osservato lo psicologo – molti hanno una famiglia e un lavoro cui devono tornare, mutui da pagare, una vita attiva da riprendere e per i pazienti con cerebrolesione acquisita il percorso è lungo e complesso. Questo tipo di progetto li stimola a farlo, speriamo di attivarne altri».

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