Veleno nel giardino dei vicini: poliziotto in pensione finisce nei guai

UDINE. Due fascicoli sono approdati, lunedì 15 giugno, davanti al giudice monocratico con richiesta di ammissione alla messa alla prova: danneggiamento, getto pericoloso di cose ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni i reati contestati.
Per il terzo, che ipotizzava invece lo stalking, la violazione di domicilio e, di nuovo, il getto pericoloso di cose, il gip ha rinviato a martedì prossimo l’udienza in cui sarà discussa l’opposizione delle parti offese alla richiesta di archiviazione del pm.
Gli altri sono già stati archiviati: una precedente presunta violazione di domicilio e l’ipotesi di avere installato apparecchiature atte a intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche.
Il bilancio degli ultimi tre anni di denunce che una famiglia del cividalese ha sporto nei confronti del vicino di casa Tiziano Chiarandini, 58 anni, sostituto commissario della Polizia di Stato in pensione e attuale presidente regionale della Fidas, è riassunto nella montagna di pagine che magistrati e avvocati hanno di volta in volta riempito per cercare di chiarire condotte ed eventuali responsabilità di una situazione che l’indagato ha spiegato nei termini di una conflittualità di rapporti datata nel tempo.
Alla fine, anche l’udienza di lunedì 15 è stata aggiornata: il giudice Paolo Lauteri ha ritenuto di rinviarla a ottobre, condizionando l’ammissione alla messa alla prova al versamento di una somma a titolo di risarcimento dei danni più alta di quella proposta da Chiarandini.
L’avvocato Ludovico Rinoldi, che lo difende insieme al collega Orazio Esposito, ha preferito per ora non anticipare nulla della propria ricostruzione dei fatti.
E cioè dell’accusa di avere gettato abbondanti quantità di glifosate, un diserbante particolarmente tossico e pericoloso anche per la salute, nel giardino e nell’orto dei vicini, determinando così gravi danni al terreno e alle piante, rovesciate anche con bastoni, e l’avvelenamento dei pesci presenti in un laghetto.
Fin qui, le imputazioni contestate negli unici due procedimenti sopravvissuti alle indagini. Per quelle più gravi, relative agli atti persecutori che Chiarandini avrebbe compiuto in particolare nei confronti della vicina, e confluite in un ulteriore fascicolo a un passo dall’archiviazione, l’avvocato Fabio Anselmo, di Ferrara, noto per essersi occupato, tra gli altri, del caso di Stefano Cucchi e cui una parte della famiglia si è rivolta per la costituzione di parte civile – gli altri sono assistiti dal collega Raffaele Conte –, ha chiesto l’imputazione coatta o, in subordine, la prosecuzione delle indagini.
Anche perché, a monte degli avvelenamenti, secondo i legali, ci sarebbe un movente passionale. «La sua era un’ossessione – scrive l’avvocato Anselmo nell’opposizione –. In passato aveva fatto alla nostra assistita numerose avances, che lei ha sempre rifiutato».
E così, per dimostrare di essere stalkizzata, sarebbe toccato a lei raccogliere le prove, posizionando fotocamere, chiedendo aiuto ad alcuni testimoni e sottoponendo i terreni ad analisi. «A fronte di una carenza di investigazioni della Procura – continua il legale –, gli unici dati oggettivi presenti agli atti di sicuro e incontestabile valore probatorio sono quelli acquisiti dalla stessa parte lesa, in totale solitudine».
Un affondo che l’avvocato Anselmo ha inteso estendere «a tutte le istituzioni, a prescindere dall’udienza (di ieri, ndr) e non certo ai giudici, per la scarsissima sensibilità dimostrata a una donna vessata per anni, anche con situazioni pericolose per la salute e l’integrità fisica.
Nel 2020, con i recenti provvedimenti decisi in materia, codice rosso compreso, una donna non può non essere ascoltata quando denuncia situazioni del genere. La frammentarietà in più fascicoli – ha concluso – mi ha lasciato sinceramente basito». —
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