“Vampiri” medievali scoperti a Remanzacco

Mani dietro la schiena, legate, piedi anch’essi avvolti da una fune, un sasso in bocca: dagli scavi archeologici di San Martino di Remanzacco, affiora uno scheletro che richiama riti medievali legati al vampirismo.
REMANZACCO.
Mani dietro la schiena, legate, piedi anch’essi avvolti da una fune, un sasso in bocca: dai prati di San Martino, vicino all’argine sinistro del Torre, alle porte di Remanzacco, affiora un intrigante mistero della storia, che parrebbe evocare un rituale legato al vampirismo.


Una campagna di scavo, le cui prime tappe rimandano al 1992 e che dal 2000 è proseguita avanzando con lotti annuali, ha riportato alla luce una necropoli di età altomedievale - VI-VII secolo - che ha già riservato agli studiosi diverse, stimolanti sorprese. Quello citato, infatti, non è l’unico caso di sepoltura anomala: l’esame dei resti ossei degli inumati ha permesso infatti di appurare un altro elemento molto particolare, legato alla statura dei defunti.


Ma andiamo per gradi. Tutto iniziò nel ’92, appunto, quando il Circolo culturale giovanile Kennedy di Remanzacco, presieduto allora come oggi da Oscar Marchese, decise di rintracciare il sito su cui sorgeva l’antica chiesetta di San Martino, di cui in paese si conservavano notizie mescolate, ormai, alla leggenda. Una ricognizione aerea permise di identificare tracce della pianta dell’edificio, che gli anziani del paese raccontavano essere stato fatto saltare in aria da Napoleone: la scoperta fu entusiasmante, ma nessuno immaginava, all’epoca, che non sarebbe stata che un inizio, il principio di un’avventura non ancora conclusa e dai risvolti affascinanti.


L’indagine archeologica interessò dunque, in primis, il luogo sacro; qualche tempo dopo il gruppo di appassionati (fra cui diversi universitari) che si era cimentato nell’identificazione del perimetro dell’antica chiesetta decise di estendere il raggio delle indagini: al sodalizio venne incontro, con una scelta lungimirante, il Comune di Remanzacco, che finanziò la ricerca archeologica con fondi propri, stanziando di anno in anno un contributo a favore dell’attività del Circolo Kennedy. E poco a poco, così, dall’area contigua alla cappella cominciarono a emergere sepolture, alcune delle quali con modesti corredi funebri, mentre il piano di calpestio dell’epoca - stimata, appunto, fra VI e VII secolo - restituiva le prove di una lunga, costante frequentazione della zona: monete, cocci, coltellini, cuspidi di freccia, qualche frammento in pasta vitrea.


A dirigere le operazioni sono l’archeologo cividalese Sandro Colussa e la collega Elena Braidotti. Le tombe scoperte finora sono venti, ma il numero degli inumati è superiore perché - questa una delle particolarità citate - alcune sepolture erano doppie. Sono stati identificati con certezza gli scheletri di dieci individui di sesso maschile, di altrettanti di sesso femminile e quelli di due neonati. La datazione delle tombe ha aperto nuovi spiragli anche per un’esatta definizione della cronologia della chiesa: parrebbero infatti posteriori alla sua edificazione, ma chiarezza si potrà avere solo quando si procederà allo scavo anche al di sotto della pianta del luogo di culto. Tutti i resti ossei sono stati esaminati da due esperte dell’Università di Udine, Luciana Travan e Paola Saccheri: l'età media della morte si è rivelata molto bassa, 20-30 anni per le femmine e 30-40 per i maschi.


Dallo studio è pure emerso che le donne non erano impegnate in attività di elevato e prolungato sforzo fisico, fatta eccezione per una (più longeva, essendo deceduta fra i 50 e i 60 anni) le cui caratteristiche muscolari hanno indotto a ipotizzare un lungo utilizzo dell’arcolaio a pedale. E c’è poi il citato fattore della statura: l’altezza media dei maschi era di 176 centimetri (con una punta di 182), quella delle femmine di 162. Si trattava, dunque, di gente decisamente più alta di quella sepolta in altre necropoli altomedievali italiane. Per quanto non di molto, inoltre, la statura risulta superiore anche a quella degli uomini e delle donne sotterrati nell’area cimiteriale di località Belvedere, a San Pietro al Natisone (VI e VII secolo).


Ma passiamo alle anomalie riscontrate nelle fosse sepolcrali. Il quesito più stimolante è quello dell’individuo con il sasso in bocca e gli arti legati: di primo acchito, appunto, gli studiosi si sono lanciati sulla strada del vampirismo, ritenendo che la tomba fosse di epoca posteriore a quelle vicine. L’esito del processo di datazione delle ossa, però, impone ora una riconsiderazione di tale ipotesi: la sepoltura è risultata infatti coeva alle altre della necropoli.


C’è poi un secondo caso molto particolare: quello, cioè, di una fossa in cui è stato rinvenuto lo scheletro intero di una donna e, combaciante con la sua testa, ma rivolto in senso opposto, il teschio e una clavicola di un secondo individuo, di sesso maschile. Una pietra era stata posizionata ad arte per bloccarlo, lasciandolo a stretto contatto con il capo dell’inumata. Il perché resta un mistero. Rituale diffuso era, invece, quello attestato da una terza tomba: accanto al defunto era stata riposta una ciotola volutamente spezzata, retaggio pagano che simboleggerebbe la consumazione dell’ultimo pasto insieme al morto. Fra i reperti rinvenuti ci sono anche un pettine in osso e un vaso con incisioni geometriche che conserva, sul fondo, un bollo, attualmente in fase di studio.


Lucia Aviani
Argomenti:archeologia

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