Una raccolta dedicata a nonna Franceschina poetessa di Cavalicco

Tavagnacco: il sogno della nipote dell’89enne scomparsa a dicembre Frasi e rime in friulano che l’anziana dedicava anche ai nuovi nati
Di Margherita Terasso

TAVAGNACCO. Un piccolo vulcano. Energica, creativa, sensibile. Cavalicco la conosceva e la chiamava Franceschine, in friulano, come la lingua che usava per molte delle sue poesie.

Per Francesca Ruffini, invece, quella donna era “semplicemente” nonna Franceschina. «La migliore amica, la confidente, un amore che con il suo tocco cancellava ogni dispiacere».

Sapeva usare le parole, Franceschina Vicario, che il prossimo 12 maggio avrebbe compiuto 90 anni. E le usava talmente bene che la gente del paese, per qualsiasi occasione, si rivolgeva a lei per una poesia, un componimento, una rima. Scriveva degli altri e alcune volte anche di sé. «Erano poesie per tutti e su ogni tema», racconta la nipote. «La notte non dormiva e scriveva. Prima in brutta. Poi, dopo una revisione sul suo friulano, in bella».

Se n’è andata il 26 dicembre, ma non l’ha fatto per davvero. Ciò che è stata Franceschina, una traduttrice di emozioni, con una capacità innata di stare con gli altri, è ora sotto gli occhi di tutti. Anche del popolo del web. «Pubblico su Facebook i suoi testi per mantenere vivo il suo ricordo», aggiunge Francesca. «E per i suoi 90 anni vorrei raccogliere le poesie che ha scritto, sia in friulano che in italiano: qualcosa di semplice che rimanga in famiglia e al suo paese».

Sui post di Francesca piovono i “mi piace” e i commenti di persone che «trovano conforto leggendo le sue parole». Già alcuni anni fa il Circolo culturale Cavalicco Duemila aveva celebrato la poetessa (per diletto) con un libricino dal titolo “El gno pais”, che aveva messo insieme molte delle sue poesie.

Franceschina, fino al 1963 titolare del famoso bar Julia a Cavalicco, era una potenza. Amava cucinare, ricamare con l’uncinetto, giocava a carte e a tombola con le amiche. «Aveva una grinta e una carica invidiabile», continua la nipote, che con la nonna ha vissuto da quando era ragazzina, tra amorevoli bisticci e fiumi di consigli. «L’unica sua paura era morire da sola».

Un timore scongiurato, quello della solitudine. «Le sue condizioni sono peggiorate la settimana di Natale», ricorda Francesca. «Il 26 mattina era in coma così ho chiamato tutti i familiari per starle vicino: se n’è andata dopo aver aperto gli occhi per un istante, come per salutarci».

C’è un dettaglio che Francesca non dimentica di quel giorno. «C’era il sole e il vetro di una finestra, per uno strano gioco di luci, rifletteva l’arcobaleno che si era creato nel cielo sul suo viso, proprio sull’occhio. Nel momento in cui è spirata quei colori sono spariti: come un segno, come se l’arcobaleno indicasse il passaggio, il ponte tra due mondi. Se n’è andata serena, circondata dall’affetto di tutti noi».

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