Un secolo di fotografie per illustrare e documentare come è cambiata la città

“Udine. Una città che cambia” è il volume pubblicato da Italia Nostra e dall’editore Gaspari su come è modificata la nostra città negli ultimi cento anni. Alcuni spazi sono stati saturati da nuove costruzioni, sono stati demoliti vecchi e storici palazzi, alcuni erano veri e propri gioielli architettonici, è scomparsa parte del verde. Il libro analizza le dinamiche dell’attività costruttiva che nel corso di un secolo ha portato a una città quasi completamente nuova. I testi sono a cura dell’archietto Renato Bosa, presidente regionale di Italia Nostra; la presentazione è della docente Diana Barillari; le fotografie sono dell’architetto Federico Rinoldi. Pubblichiamo uno stralcio della presentazione.
Diana Barillari
La prima reazione provocata dalla carrellata delle immagini contenute in questo volume è di natura estetica, che si manifesta nelle valutazioni che oscillano tra due poli opposti, il “bello” e il “brutto”, il primo termine da assegnare in prevalenza agli edifici scomparsi, mentre il secondo calza a pennello alle sostituzioni.
Questa prima impressione viene parzialmente corretta a un più attento esame, quando si comincia a valutare con altri strumenti.
Vi sono infatti considerazioni storiche, critiche, politiche che inducono alcuni aggiustamenti, cosicché le percentuali di nuove architetture “belle” riesce a farsi più consistente, ma senza esagerare, ben s’intende. La tentazione di attribuire responsabilità alla classe politica, agli amministratori, ai proprietari, agli speculatori, è esercizio sterile perché sul banco degli imputati rischia di finire buona parte della città, senza contare che decretare giudizi di colpevolezza o innocenza è un esercizio da farsi nei luoghi deputati (come pure confessione e assoluzione), mentre l’obiettivo di Italia Nostra e del curatore, Renato Bosa, è di incrementare la conoscenza sulle trasformazioni che hanno interessato il tessuto urbano cittadino, allo scopo non tanto di proporre ritorni nostalgici a un passato idilliaco, quanto fornire dati e informazioni per guidare i futuri interventi.
Una certa diffusa sensazione di malinconia però è inevitabile di fronte, ad esempio, al Cinema Eden di Provino Valle o alla roggia in via Grazzano e in via Gemona, o ai villini di via Leopardi e via Carducci, alla vecchia fabbrica Moretti, brani di una città decorosa e culturalmente educata alle cose di architettura che negli anni si è progressivamente rarefatta.
Ancora nella città di fine Ottocento ansiosa di sbarazzarsi delle malsane mura edificate nel XV secolo, persistevano le tracce di quella Udine “contadina” che Francesco Tentori individuava nella zona compresa entro la quinta cerchia di mura posta a corona alla città “borghese” sviluppatasi entro il perimetro del terzo recinto: i segni più eclatanti erano le vaste braide, in particolare quella Codroipo-Arcoloniani. Il problema principale della pianificazione tra il 1880 e il 1900 sarà quindi costituito dai conflitti tra proprietà privata e amministrazione pubblica, mentre gli aspetti legati alla progettazione e alla composizione passano in secondo piano, anche perché su di essi vigilava la Commissione d’Ornato, la quale si era dotata di regole piuttosto severe.
È a questo periodo che Tentori fa risalire l’inizio della “fine”, vale a dire nella crescita dettata soltanto da criteri di speculazione localizzata nella fase iniziale in prevalenza all’esterno dell’antica cerchia urbana. Analogo disordine guiderà anche la progressiva saturazione delle aree all’interno del tessuto urbano e per rendersi conto di questa evoluzione basta guardare le piante di Udine che Renato Bosa mette in fila, quindi confrontare la prima e l’ultima, e diventa tutto subito chiaro.
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