Trema l’acciaio friulano: domanda in forte calo e pressione sui prezzi

Gianpietro Benedetti vede una ripresa solo nella prossima primavera. I top manager del comparto a confronto all’European steel conference

UDINE. L’esordio coincide con la frenata dell’auto tedesca, a cui si somma l’aumento delle importazioni - eccedenti rispetto alla domanda e più convenienti rispetto alla produzione italiana ed europea - e la vertenza dazi tra Cina e Stati Uniti. Un mix di fattori che impatta sulla siderurgia del Friuli Venezia Giulia.

Le conseguenze? È recente la notizia che Abs deve rallentare la produzione da qui a fine anno facendo ricorso anche agli ammortizzatori sociali. Ma pure le altre aziende del settore hanno dovuto allineare le previsioni con la domanda e mettere il freno alle proprie produzioni. E nel resto d’Italia, e d’Europa, non va meglio.

«Il clima a Milano non è dei migliori» - dichiara Gianpietro Benedetti, presidente del Gruppo Danieli, ieri nella capitale economica del Paese per partecipare all’Europea Steel conference, summit europeo dei produttori d’acciaio. E questo ovviamente «perché le previsioni non sono propriamente rosee. C’è chi intravede una ripresa dei prezzi in primavera che potrebbe protrarsi per due o tre mesi per poi scendere di nuovo. Ma credo che molto dipenderà da come andrà il confronto tra Stati Uniti e Cina rispetto ai dazi. Io propendo per un’intesa possibile, e questo influenzerà il clima volgendolo verso l’ottimismo. Ma è anche vero - prosegue Benedetti - che fare previsioni oggi è sempre più difficile. In passato ragionavamo in termini di cicli economici abbastanza regolari di 5/8 anni, oggi il ciclo è frenetico e varia da 6 a 12 mesi, massimo un anno e mezzo».

La certezza «riguarda i prezzi, che sono in flessione. Dopodiché a fronte di un accordo Usa-Cina, potrebbe ritornare un qualche equilibrio».

La questione dazi «influenza certamente le esportazioni, anche se da produttori di impianti in questo momento patiamo più le conseguenze del gelo che l’incertezza riverbera sugli investimenti. Meno consumo di acciaio, meno investimenti, meno investimenti, meno consumo di acciaio».

E poi ci sono le “rivoluzioni”, annunciate ma dall’evoluzione ancora incerta. Una fra tutte l’auto elettrica, che richiede quantitativi inferiori di acciaio, ma di maggiore qualità. «Anche qui - è la riflessione di Benedetti - non è chiaro il traguardo finale. Il paradosso è un’auto elettrica che azzera le emissioni ma che fa rifornimento grazie a centrali elettriche che funzionano a carbone... Poi c’è la questione dell’autonomia, ancora insufficiente. È quindi probabile un mercato in crescita per le vetture ibride, non dimenticando che l’innovazione in atto sui motori tradizionali sta abbattendo notevolmente le emissioni. Ma c’è anche un altro elemento da considerare, ovvero la domanda di auto.

Le nuove generazioni non guardano più a questo prodotto come uno status symbol né come principale mezzo di trasporto. Uber, car sharing, mezzi pubblici... la nuova mobilità sarà diversa da quella che conosciamo. E avrà un impatto sulla produzione e sul consumo di acciaio». Che continuerà a guardare al mondo delle costruzioni, dove la ripresa ancora langue.

In positivo c’è che la frenata - al momento - è congiunturale, non strutturale. Anche se pesante. Solo in Germania la domanda di acciaio è di -10% rispetto allo scorso anno e le stime parlano di una ripresa di solo +0,5% nel 2020. Produttori globali come Arcelor Mittal hanno non solo ridotto la produzione di acciaio, ma anche chiuso altiforni.

Da qui le richieste ai governi nazionali e alla Ue di mettere mano alle regole per non piegare un settore che già sta pagando il prezzo richiesto dal mercato. Regole che hanno a che fare con i controlli sulle importazioni, sui tetti alle importazioni (oggi eccedenti rispetto alla domanda), e trattamento uguale per tutti.


 

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