Terremoto Friuli, a Venzone bambini e anziani insieme rivivono paura e orgoglio

GEMONA. I primi ad arrivare sono stati i bambini. Salivano arrampicandosi per le vie del centro tenendosi per mano in lunghe colonne colorate. Tanti sventolavano le bandierine col tricolore, altri cantavano l’inno e invocavano il presidente guardando ammirati la banda alpina della Julia che ha aperto le celebrazioni percorrendo via Bini fino a piazza del municipio che un’ora prima dell’arrivo del Capo dello Stato era già gremita.
Dopo i più piccoli, sono arrivati gli anziani come Gino Deotto, gemonese classe 1930, che 40 anni fa ha perso il fratello Diego, la cognata Zoe e il nipotino Paolo che aveva soltanto 8 anni. «La casa era crollata, pensavo fossero riusciti a scappare, c’era tanta confusione. Invece hanno ritrovato i corpi lì sotto una settimana dopo. Se ne sono andati insieme. Io ero a casa con mia mamma - racconta con gli occhi lucidi -, stavo guardando Andreotti in televisione e con la prima scossa l’ho visto finire a terra. Sono corso di sopra a prendere mia madre, la scala ondeggiava insieme ai muri, era surreale, il comignolo è caduto davanti a noi, un passo in più e anche mia madre sarebbe morta. Invece siamo riusciti a raggiungere il cortile e siamo rimasti lì, abbracciati a pregare guardando quello che restava della nostra abitazione. Mio padre era ricoverato in ospedale che quella volta si trovava di fronte al duomo. Lo abbiamo ritrovato un mese dopo, quando ormai non ci speravamo più: lo avevano trasferito a Gorizia e stava bene».
Gino, ex consigliere comunale della Dc, alle celebrazioni del 6 maggio non manca mai: «Vengo per ricordare, guardo le strade e ripenso alle macerie e al lavoro fatto per ricostruire». Accanto a lui c’è Lorenzo Londero, presidente dell’Anpi di Gemona Venzone: «Quella sera ero in vespa in via Di Prampero, stavo portando dei disegni a un geometra per conto di mio fratello, la casa ha retto, ma quando siamo usciti abbiamo visto il bar Blanc afflosciarsi e scomparire. Poi in piazza Del Ferro abbiamo aiutato a estrarre dalle macerie i Comis, avevano una pelletteria. Molti si stupiscono ancora oggi della reazione dei friulani, ma la verità è che non c’è stato nemmeno il tempo per piangere. L’unica cosa da fare di fronte a tutta quella distruzione era lavorare per ricostruire. All’epoca ero in consiglio comunale. Ero all’opposizione con i comunisti, ma il piano della ricostruzione lo abbiamo votato tutti insieme e se oggi via Bini è rimasta così è anche grazie al nostro voto che ha mantenuto il vincolo delle Belle arti».
Arriva Mattarella. La macchina dei ricordi si ferma per lasciare spazio alla festa. Il capo dello Stato scende dall’auto davanti alla loggia di piazza Duomo e alza gli occhi al cielo per leggere lo striscione: «Gemona e il Friuli ringraziano di cuore e non dimenticano! Benvenuto presidente». Il tempo di un abbraccio ai bambini che fanno un tifo da stadio e agitano le bandiere come per un gol di Di Natale. Poi uno strappo al rigido cerimoniale: Mattarella sale a stringere la mano ai tanti sindaci e amministratori, quindi insieme al primo cittadino di Gemona, Paolo Urbani, al commissario del Governo che gestì l’emergenza Giuseppe Zamberletti e al presidente della Regione, Debora Serracchiani, ha raggiunto il duomo. Una passeggiata nel cuore di Gemona, simbolo della ricostruzione, tra due ali di folla festanti.
Ad attenderlo tra i tanti c’era anche il dottore, oggi pensionato Tullio Zearo: «Quel giovedì ero in Africa, facevo il volontario in Burundi. Sono rientrato a Gemona la domenica. Ho perso la cognata e due nipoti. La casa dei miei in via Dante era distrutta ma loro si sono salvati, altre due sorelle sono state ferite. Sono rimasto qui per aiutare durante l’emergenza e quando ho visto quello che restava del duomo ho pensato: non lo rivedrò più. Invece oggi sono qui e abito ancora nella casa della mia famiglia in via Dante». Caterina Tambosco, Elisa Blanco, Samira De Giudici e Elena Scuntaro frequentano il D’Aronco di Gemona, hanno tra i 18 e i 20 anni, nessuna di loro era nata nel 1976, ma ieri erano in prima fila e i valori del terremoto li conoscono bene: «La solidarietà di quella volta si percepisce anche oggi insieme a un po’ di paura che l’Orcolat possa tornare».
Il presidente della cineteca del Friuli Livio Jacob, il 6 maggio di 40 anni fa era in un bar di Gemona: «Aspettavo mio fratello per andare a vedere un film, con la prima scossa non mi sono spaventato ma poi è tremato tutto. Ero con un mio amico, Mario, ci siamo abbracciati e detti addio, non pensavamo di sopravvivere. Non so come, ma il bar è rimasto in piedi». Il cinema sociale invece è crollato. «È morto un operatore e alcuni militari. Se sono qui lo devo al ritardo di mio fratello - continua Livio - e grazie al terremoto è nata anche la cineteca». Le prime proiezioni infatti sono state fatte nelle baracche e tra le tende. «Studiavo a Trieste e quando è successo stavo guardando un film all’università - ricorda Piera Patat, compagna di Livio e fondatrice insieme a lui della cineteca -. Abbiamo avvertito la scossa anche là, all’inizio pensavo fosse in corso un assalto fascista. Quando alcune ore dopo sono arrivate le prime notizie di quanto era accaduto, insieme ad altri friulani ci siamo messi in auto. Siamo partiti verso le due di notte, abbiamo fatto la strada per i paesi e arrivati a Buja ci siamo resi conti del disastro. A Gemona i miei stavano bene, ma c’erano solo macerie e non avevo notizie di Livio, l’ho trovato in una tenda nell’orto di una casa in via Osoppo ancora sotto choc. La cineteca è nata in quei giorni: con un proiettore 16 mm regalavamo due ore di serenità e abbiamo avviato una raccolta di solidarietà che ha coinvolto anche grandi registi come Ettore Scola».
L’abbraccio con Gemona del presidente Mattarella si conclude davanti al duomo sullo sfondo delle montagne che 40 anni fa hanno visto la terra tremare e inghiottire un paese intero. «È stata un’occasione importante per raccontare ai bambini che cosa è successo - dice l’insegnante Annalisa Artico dell’istituto primario Piovega di Gemona, presente insieme ai bambini della seconda C -, è stata una mattina commovente che ha entusiasmato i più piccoli e anche molti genitori».
Bryan Nardoni di Osoppo e Soraya Minisini di Colloredo di Monte Albano si allontanano tenendosi per mano: «Quel terremoto lo conosciamo per il racconto dei nonni e dei parenti, venire qui fa tornare un po’ di tristezza e di paura ma ti fa capire che siamo tutti uniti». Come i bambini della scuola dell’infanzia “P. T. Martina - nido integrato Cucuc” di Ospedaletto accompagnati dalle maestre Martina Forgiarini, Barbara Tambosco e Tiziana Del Fabbro: sono loro a chiudere la festa intonando l’inno di Mameli sulle scale che da piazza del ferro porta al municipio in attesa del pullman: fratelli d’Italia...
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