Terapia intensiva senza il primario: Flavio Bassi saluta Pordenone e va a Udine

Il medico che ha rivoluzionato il reparto dell'ospedale da venerdì è nel capoluogo friulano. Sos organici: ora i camici bianchi sono rimasti soltanto 13

PORDENONE. Un’altra partenza eccellente dall’ospedale di Pordenone alla volta di Udine. Settima casella vuota nella pianta organica di rianimazione e terapia intensiva dove i camici bianchi dovrebbero essere venti e oggi invece sono tredici: è quella del primario, Flavio Bassi, 55 anni, udinese, che ritorna nella sua città con l’incarico di primario di rianimazione e terapia intensiva II all’Azienda sanitaria integrata universitaria del capoluogo friulano.

Così al Santa Maria degli Angeli, in attesa del concorso, Yigal Leykin si farà in tre, come facente funzione di Bassi, primario di anestesia e infine capo del dipartimento dell’emergenza, incarico che ricopre da quando il dirigente del Pronto soccorso Francesco Moscariello è andato in pensione.

Dottor Bassi, perché ha lasciato Pordenone?

«È stata una scelta molto dibattuta per me, non certamente facile, perché io qui a Pordenone ho dato la vita e ci ho creduto molto. Poi è uscita questa opportunità del concorso a Udine, dove vive la mia famiglia e dove le prospettive di carriera, trattandosi di un grosso ospedale, sono molte. Lascio a malincuore il Santa Maria degli Angeli. Qui davvero i rapporti umani sono importanti, c’è una grande collaborazione fra professionisti. Serberò un ricordo indelebile di Pordenone e lascerò qui una parte di me».

Come è stato lavorare qui?

«All’inizio ho avuto un po’ di difficoltà nel conoscere le dinamiche di questo ospedale. Quando sono arrivato da Udine mancava da più di un anno il primario. Willy Mercante era andato in pensione nel dicembre 2013. Poi sono riuscito a trainare questo reparto, molto complesso dal punto di vista organizzativo, e sono riuscito a ottenere molte buone cose».

Quale successo medico ricorda più volentieri?

«Sono tante le soddisfazioni professionali che questo reparto è riuscito a regalarmi, ma indubbiamente un caso ha lasciato il segno: la ragazza di 34 anni sopravvissuta senza alcun danno neurologico a un arresto cardiaco lungo due ore e mezza. Dopo quella esperienza lei è rimasta legatissima a me. Un caso rarissimo, in cui il lavoro di squadra ha giocato un ruolo molto importante».

Che novità ha introdotto?

«Ho fatto raddoppiare l’attività diagnostica in broncosopia con il supporto anestesiologico, il primario Mazza mi ha aiutato tantissimo. Ora si può dire che al Santa Maria degli Angeli la diagnostica pneumologica è diventata un punto di eccellenza. Abbiamo aumentato l’assistenza fisiologica grazie alla collaborazione con gastroenterologia, diretta dal dottor Brosolo».

E sotto il profilo della dotazione tecnologica?

«Devo ringraziare il provveditore Alberto Rossi, che mi ha dato grande fiducia, il direttore generale Giorgio Simon e il direttore sanitario Giuseppe Sclippa per avermi sostenuto. Mi hanno permesso di ristrutturare sotto il profilo tecnologico terapia intensiva, che è diventata una delle migliori del Friuli Venezia Giulia. Abbiamo acquistato sette ventilatori nuovi di alta performance, sostituito tutti i monitor che misurano i parametri vitali con spese molto elevate, abbiamo broncoscopi e defibrillatori nuovi, siamo gli unici nel Nord est a possedere un macchinario per la sedazione gassosa. Tutti hanno creduto molto nelle potenzialità di questo macchinario. Fino all’ultimo speravano che restassi, è una cosa che mi ha fatto molto piacere».

Cosa le mancherà di più di Pordenone?

«I rapporti umani che ho instaurato in questo ospedale e la collaborazione con gli altri professionisti. Sarà difficile ritrovarla altrove. Ho ricevuto tante chiamate dai colleghi in queste ultime ore, mi ha fatto molto piacere».

Con la sua partenza salgono a sette i posti vacanti in terapia intensiva a Pordenone. Il reparto è in sofferenza?

«Indubbiamente il dipartimento dell’emergenza si trova in difficoltà anche per le carenze apicali, ma è un problema comune a tutte le aziende sanitarie d’Italia, non solo di questo ospedale».

Il suo messaggio di commiato ai pordenonesi?

«A tutti ho detto che avendo lavorato a Pordenone per tre anni e conoscendo le dinamiche di questo ospedale, sarà come non separarsi da questa realtà. Potremo, infatti, creare una rete per l’emergenza. Al centro del nostro lavoro c’è il paziente, che deve essere trattato al meglio. Udine e Pordenone possono lavorare all’unisono. Con il direttore generale Giorgio Simon e il direttore sanitario Giuseppe Sclippa ci siamo salutati con la speranza che tutto questo possa determinare un ulteriore miglioramento per tutti. Ringrazio l’ottima dirigenza del Santa Maria degli Angeli, che mi ha sempre sostenuto».

Perché ha scelto di lavorare in terapia intensiva?

«La medicina è sempre stata la mia passione, sin da piccolo. Dopo la laurea, a dire il vero avevo iniziato a sostituire i medici di base. Poi ho capito, invece, di aver bisogno di vedere un risultato immediato alle cure. Volevo capire se quanto facevo fosse positivo o negativo per il paziente nell’immediato. La rianimazione e terapia intensiva, pur con tutti i nostri limiti, è una specialità che permette di rispondere subito alle sofferenze psichiche e fisiche delle persone. Con i farmaci siamo in grado di far provare loro il minimo dolore possibile. Certo, andiamo anche incontro a grandi responsabilità. Ma possiamo anche dare una risposta immediata. L’anestesista rianimatore deve essere al servizio del cittadino e degli altri operatori sanitari, di cui dobbiamo favorire il lavoro».

Quali doti non dovrebbero mai mancare in un medico?

«L’umanità, la lucida consapevolezza dei propri limiti e la capacità di agire di conseguenza, collaborando con gli altri professionisti. Da soli non si riesce a fare nulla, bisogna avere la capacità di fare squadra. Solo così si ottengono risultati».

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