Strage di Natale 15 anni senza risposta

Udine, depositate le motivazioni dell’assoluzione nell’Appello bis di luglio. Totale carenza di prove a carico dei due albanesi e incertezza sul movente

UDINE. La bomba che la notte del 23 dicembre 1998 uccise gli agenti Adriano Ruttar, Giuseppe Guido Zanier e Paolo Cragnolino non era stata piazzata in viale Ungheria per dare una lezione alla polizia. E chi la mise non lo fece per compiere una strage, nè agendo nell’ambito di un’associazione di stampo mafioso. Dopo 15 anni di indagini e processi, gli elementi indiziari raccolti per dimostrare il contrario si sono rivelati del tutto insufficienti in termini «di gravità e di precisione». E altrettanto vale per le accuse che, in secondo grado, avevano portato alla condanna all’ergastolo degli albanesi Ilir Mihasi e Saimir Sadria. Un castello probatorio troppo vago, insomma, per sopravvivere ai colpi della Cassazione prima e dell’Appello bis poi. E non a caso azzerato con l’assoluzione “tombale” pronunciata dai giudici triestini l’estate scorsa. Risultato: caso chiuso senza colpevoli, nè movente. Ora, a spiegare quel clamoroso epilogo, sono le motivazioni depositate dal giudice Alberto da Rin, presidente della Corte d’assise d’appello che, ribaltando il verdetto del 2008, ha bocciato l’estremo tentativo della Procura generale di dare un nome e un volto alla tragedia.

Il verdetto di luglio

La sentenza che ha scritto l’ennesima pagina giudiziaria del processo sulla cosiddetta “strage di Natale” era stata emessa il 17 luglio scorso, in sede di rinvio disposto dalla Suprema Corte il 18 ottobre 2012, dopo il parziale annullamento del verdetto della Corte d’assise d’appello di Trieste del 5 dicembre 2008. Ed era stata una vittoria a tutto campo per le difese, rappresentate dagli avvocati Alberto Tedeschi, Laura Luzzatto Guerrini e Maurizio Miculan: non doversi procedere per Tatiana Andreicik, Nicola Fascicolo, Vincenzo Cifarelli, Samir Sadria, Ilir Mihasi e Alexander Vatai. Tutti accusati del reato di associazione di stampo mafioso, riqualificato in associazione a delinquere semplice (prescritto). Per i due albanesi, caduta l’ipotesi della strage, mentre per Cifarelli e Fascicolo dichiarato prescritto il favoreggiamento dell’immigazione clandestina.

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Le intercettazioni

Il collegio aveva concluso per una «totale carenza di prove» e spiegato così anche la decisione di non accogliere la richiesta del pg Paola Cameran di revocare l’ordinanza che aveva escluso le rogatorie internazionali per i testimoni Viktoria Pustovgar e Kresnik Celaj. «Le loro dichiarazioni - si legge nella sentenza - non avrebbero alcuna rilevanza, al fine di supportare l’accusa». Eppure, era proprio su quelle testimonianze che la Procura aveva puntato, nel tentativo di recuperare almeno i due ergastoli inflitti in secondo grado. Due le frasi - entrambe intercettate in fase d’indagine - ritenute determinanti dall’accusa. «Ammazzati tre poliziotti per lui», pronunciata da Mihasi mentre, in auto con Giancotti e Alban Tila, passavano vicino alla casa di Paolo Albertini (titolare del “Centroautoradio” sul quale fu posizionato l’ordigno), e «Hai messo un’altra volta questa che hai messo una volta?», detta dalla prostituta Shazimani al telefono con Campese (uno dei cinque imputati, nel frattempo deceduto). Secondo la Corte, il valore indiziario della prima conversazione «è pesantemente e inevitabilmente compromesso dalla cattiva qualità della registrazione». Limitato anche il peso della seconda affermazione. «Se Campese, autore dell’attentato - si legge -, si fosse sentito dire per telefono dalla sua donna di non mettere più bombe come aveva fatto in passato, le avrebbe quantomeno intimato di non parlare più di certi argomenti o fatto seguire un silenzio imbarazzato».

Prostitute e controlli

Per nulla convincente, a parere dei giudici, anche il presunto movente dell’«intimidazione ritorsiva» nei confronti della polizia. «In un contesto nel quale i controlli delle forze dell’ordine sulla prostituzione erano scarsi - osservano -, alcuni poliziotti e carabinieri erano clienti delle prostitute sfruttate dal gruppo e le avvisavano delle retate e uno dei principali associati era confidente dei carabinieri, c’è da chiedersi per quale motivo gli imputati avrebbero dovuto infrangere questa situazione idilliaca con un attentato che avrebbe, per forza di cose, provocato una presenza massiccia di militari, agenti e investigatori e che si è poi rivelato controproducente rispetto all’attività delittuosa del sodalizio».

Le vittime e il caso

Quanto ai bersagli, i giudici si sono chiesti come mai, «se l’intento era di dare una lezione a Zamparo, non fu piazzato un ordigno sotto la sua auto o non gli si sparò fuori casa? Perchè ideare un attentato così macchinoso?». Da qui, la convinzione che l’attentato non fu affatto preceduto da un monitoraggio delle vittime. «Altrimenti - si legge - avrebbero saputo che, quella notte, Zamparo non sarebbe stato in servizio e che, da alcuni mesi, lui e Zanier non erano nella stessa pattuglia». Di più. «La morte dei tre poliziotti, e in particolare di Zanier - continua - è dipesa da un’altra sfortunata circostanza che non poteva essere nota agli attentatori. La Volante 1 su cui viaggiavano Ruttar e Zanier si trovava in zona per puro caso: il gestore del bar “Le Girandole” voleva fare gli auguri a Zanier e aveva chiesto a Bianco che con il compagno di equipaggio Cragnolino si era fermato per un caffè, di chiamargli il collega».

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I limiti dell’accusa

Centrato sull’originaria imputazione di strage, l’Appello bis ha confermato ciò che la Cassazione aveva già smontato - e cioè l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso - e demolito anche l’ipotesi della strage (che già la sentenza del 2008 aveva derubricato in omicidio plurimo). «La difformità delle pronunce sul titolo di reato, come conseguenza della mancata individuazione del movente - si legge - e l’assenza di riferimenti alle condotte personali degli imputati (esecutori? ideatori? capi?) rappresentano due limiti insuperabili». Anche da qui, la decisione di cancellare gli ergastoli. «Non è tutt’ora chiaro - si legge - perchè l’attentato dovrebbe essere riferito, fra i componenti dell’associazione, ai soli Mihasi e Saimir».

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