Stamina, indagato anche Delendi: «Mi ha ingannato»

Il direttore del Santa Maria attacca il pediatra Andolina Il pm di Torino ha chiuso le indagini sul controverso metodo
Di Luana De Francisco
Udine 08 marzo 2014 ministro al pronto soccorso Telefoto Copyright Petrussi Foto TURCO
Udine 08 marzo 2014 ministro al pronto soccorso Telefoto Copyright Petrussi Foto TURCO

Nel luglio del 2009, Mauro Delendi era ancora il direttore generale dell’Irccs “Burlo Garofolo” di Trieste. È in quella veste che, consigliato dal pediatra e allora direttore del Dipartimento trapianti dell’istituto, Marino Andolina, decise di firmare un accordo di collaborazione con la “Stamina foundation” di Davide Vannoni. I rapporti con la fondazione si interruppero prima della fine di quello stesso anno. Ma quei cinque mesi scarsi di ricerca e sperimentazioni bastarono a mettere lui e, ancor di più, Andolina, in un mare di guai. Tra i venti indagati della poderosa inchiesta sul cosidetto “metodo Stamina” per la quale il procuratore di Torino, Raffaele Guariniello, ha da poco chiuso la fase delle indagini preliminari, figurano anche i loro nomi. E la notizia non ha tardato a fare pure il giro del Friuli: dal febbraio del 2013, infatti, Delendi, 58 anni, è passato a Udine - sua città d’origine - per dirigere l’Azienda ospedaliero-universitaria “Santa Maria della Misericordia”.

Pesanti le accuse formulate, a vario titolo, a carico di quello che gli investigatori piemontesi ritengono essere stato l’“entourage” di Vannoni, padre della contestata terapia e, ora, anche candidato alle prossime Europee: associazione per delinquere aggravata e finalizzata alla truffa, esercizio abusivo della professione medica e violazione delle norme della privacy. Per il magistrato, in altre parole, quella proposta ai pazienti altro non era che una «cura non soltanto inutile, ma anche dannosa» e nella quale «esseri umani venivano usati come cavie».

Finito sul registro degli indagati già un paio di anni fa e, da allora, assistito dall’avvocato Riccardo Seibold, di Trieste, ieri Delendi ha commentato con profonda amarezza le conclusioni alle quali è approdata la Procura. Perchè della vicenda - o meglio, del breve periodo di tempo di cui è chiamato a rispondere - non esita a dichiararsi non soltanto del tutto estraneo, ma addirittura a sua volta vittima. Scaricando tutta la colpa del suo incolpevole coinvolgimento su Andolina (che di Vannoni è il vice). «Sono inviperito per questa storia - confessa Delendi -. Mi accusano di avere partecipato a organizzare questo sistema: un’assurdità. Proprio io, che ho sempre sostenuto il rigore delle terapie e contrastato con fierezza ciò che viene fatto al di fuori delle regole, trovando particolarmente riprovevole generare illusioni in persone che non stanno bene, ho finito per esserci cascato dentro».

Tutto inizia e finisce con il “patto” che tenne il Burlo legato a Stamina dal luglio al dicembre del 2009. «Fu Andolina a premere affinchè firmassi quell’accordo - ricorda Delendi -. Lo scopo era quello esclusivo della ricerca di laboratorio. Quando, però, a fine anno ci fu notificato un procedimento penale per il decesso di una persona anziana, di cui peraltro non avevo mai sentito parlare e che alla fine risultò essere morta per cause diverse dall’iniziale ipotesi riconducibile al trattamento di Andolina, non ci pensai due volte e, da un lato, ordinai l’interruzione dei rapporti con la Fondazione e, dall’altro, l’avvio di un procedimento disciplinare a carico di Andolina culminato, in febbraio, nella revoca del suo incarico professionale».

Il coperchio, ormai, era stato sollevato. «Fu in quel momento, grazie alle indagini che erano state svolte - continua il dg -, che scoprii ciò che Andolina aveva fatto al Burlo all’insaputa di tutti. In assenza totale di qualsiasi autorizzazione a praticare queste terapie, il sabato e la domenica, cioè quando in ospedale non c’era nessuno, riceveva i pazienti senza poi registrarne il nome, nè compilare alcuna cartella clinica o scheda ambulatoriale». A non accorgersi di niente non era stato soltanto l’allora direttore generale dell’istituto, ma neppure il resto del personale. «Andolina era praticamente sempre al Burlo - osserva Delendi - e il fatto di vederlo circolare anche nei fine settimana non destava alcun sospetto. Anche perchè, per quelle terapie, non serve entrare in sala operatoria. Dal canto mio, appena ne venni a conoscenza, cercai di correre ai ripari, facendo l’unica cosa che era nei miei poteri: contenerlo e, infine, allontanarlo».

Ma c’è anche un altro particolare che, a parere di Delendi, contribuisce a rendere la vicenda ancora più paradossale. «Pochi mesi dopo la revoca dell’incarico - ricorda -, Andolina mi mandò una lettera nella quale mi accusava di avere ostacolato la sua attività. Progetti di terapie con le quali, forse, avrebbe potuto salvare delle vite. Ebbene, delle due l’una: l’ho veramente ostacolato, oppure, come sostiene la Procura, ho facilitato i suoi piani e quelli di Vannoni?».

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