Soldato modello degradato dopo una lite Si riscattò al fronte, pagando con la vita

LA STORIA
Andrea Sartori / CHIONS
Una vita in cerca di riscatto dalle umili origini, con l’emigrazione e il duro lavoro, interrotta dall’orrore della guerra.
È la storia di Domenico De Stefano, medaglia d’argento al valor militare, originario di Pielungo di Vito d’Asio e vissuto a Basedo di Chions: morì a 27 anni il 2 luglio 1918, nella battaglia del Delta, lavando con una morte eroica l’onta di una condanna. Domani, in vista del centenario della morte, una trentina di familiari si riunirà a San Francesco di Vito d’Asio per una messa. Tra loro ci sarà Alberto Pavan, pronipote che ha ricostruito le vicende del soldato.
A Basedo, nei mesi scorsi è stata confermata l’intitolazione a De Stefano del centro polifunzionale: prima della riqualificazione l’edificio era la scuola della frazione, che portava con orgoglio il suo nome.
De Stefano nacque il 26 gennaio 1891, nel borgo di Cabarlons (di cui non c’è più traccia) a Canale di Vito d’Asio, meglio noto come Pielungo (l’altra medaglia d’argento di Chions, Berengario Ortis, era originaria di Vito d’Asio). Erano gli anni dell’opera del conte Giacomo Ceconi, magnate e filantropo che nella valle creò lavoro e dignità, anche per i De Stefano.
Ben presto Domenico lavorò nell’Austria-Ungheria, poi in Francia. I giovani De Stefano accumularono un discreto capitale e, nel 1907, si trasferirono a Basedo. Domenico, divenuto falegname e intagliatore, a 18 anni trovò lavoro a Lanzo Torinese, dove si fidanzò e, grazie a un permesso ottenuto una volta chiamato alle armi, sposò Rosina Sartoris, con la quale si trasferì dal Piemonte a Basedo.
Poi si recò sul fronte dell’Isonzo. Da gran lavoratore a soldato ineccepibile: il 16 novembre 1916 fu promosso caporale. Fu in un’osteria di Medea che, dopo due anni di condotta esemplare in guerra, De Stefano, con alcuni commilitoni, si mise nei guai: risposero in malo modo e minacciarono i carabinieri. Erano sfiniti dalla guerra e avevano bevuto: avevano forse percepito come violato un raro momento di tranquillità. Furono giudicati colpevoli di “resistenza alla forza armata”: De Stefano fu condannato a 4 anni di reclusione, col beneficio delle attenuanti generiche, l’ammenda di 50 lire e la degradazione.
Non andò in carcere: servivano uomini al fronte. Restò sull’Isonzo sino alla disfatta di Caporetto. A Basedo tornò soltanto due giorni, resistendo alle suppliche dei familiari che lo volevano trattenere. Raggiunse la linea del Piave, per partecipare alla sanguinosa resistenza contro tedeschi e austriaci. Il 2 luglio 1918, in località Ponte sul Taglio del Sile, De Stefano cadde, colpito in fronte da un colpo di mitragliatrice. Si trovava in una garitta, nonostante gli inviti del suo ufficiale a mettersi al riparo, a controllare i movimenti del nemico. Nel 1919 arrivò l’amnistia, poi l’onore della medaglia d’argento, ma non la riabilitazione al grado di caporale. Le sue spoglie riposano dal 1935 nell’ossario di Fagarè della Battaglia. —
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