Smorte del Livenza, tesoro naturalistico ora in abbandono

SACILE. Il paradiso a tre chilometri da piazza del Popolo: nelle smorte del Livenza. Un microcosmo caduto nell’oblio di tanti sacilesi. Con l’erba alta da spuntare, qualche paletto marcio, le cartacce abbandonate da pescatori distratti, le mappe per turisti stinte: un tesoro naturalistico da riscoprire e rilanciare.
«Tremila metri quadri a Cavolano – dice il progettista-artefice, Roberto Pavan, che da 30 anni segue le smorte – e altri 52 mila a San Giovanni di Livenza. Ambienti unici. Potenziati oltre 15 anni fa dal contributo regionale di 430 milioni di lire».
Alla prima passeggiata fanno l’effetto mix di Pandora, il pianeta di Avatar (a Cavolano) e del paesaggio piatto dei giardini di Manet (a San Giovanni di Livenza). Indimenticabili. Sono i meandri abbandonati dal fiume, in lento e progressivo interramento, in cui trovano rifugio molte specie di flora spontanea (le smorte sono inserite nel file delle aree regionali protette).
«Difendere gli ultimi angoli dell’habitat selvatico è un dovere – l’ingegnere Pavan è un florista e botanico esperto che conosce ogni anfratto delle smorte –. Sono un serbatoio di specie animali, acquatiche e vegetali uniche. Inoltre, le smorte funzionano come aree di esondazione del fiume in caso di piena, cioè casse di espansione naturali. Vanno tutelate al massimo».
La rana esculenta e il cuculo fanno da colonna sonora, una carpa di 3 chili fa il delfino nella smorta a Cavolano e fortuna vuole che un airone cinerino plani su uno scheletro di tronco in bilico sull’acqua. Farfalle vanessa, picchi, ghiandaie in libera uscita. La “veronica filiformis” è un gioiello e l’immaginario popolare traghetta a Cavolano anche la “pinguicola poloinii”, una pianta carnivora. Fantasie, sulla smorta-Pandora dell’atlante di un eden ritrovato.
«L’aglio orsino – indica Pavan – tra querce, carpini bianchi, aceri, pioppi neri, salici bianchi. Certo, ci sono troppi rovi: il miglioramento delle smorte potrebbe cominciare da questo impegno».
L’atlante si allunga a San Giovanni di Livenza: tra acque abbandonate dal Livenza che romba, gonfio di correnti, a pochi metri dalla smorta. Dove le ninfee gialle coprono l’acqua che specchia gallinelle, libellule blu e tartarughe che chissà come sono finite in questo braccio (s)morto.
Pavan non si arrende: «Ci sarebbe bisogno di ampliare queste aree ridotte per renderle accessibili al turismo e per allargare il progetto del percorso sugli argini del Livenza, da Sacile a Schiavoi. Venticinque anni fa abbiamo speso le risorse regionali per comprare terreni e alberi».
Resta da sciogliere il “nodo” delle diverse proprietà per l’accesso alla smorta (l’ingresso è una servitù con il cartello di divieto che stona) e il fattore del rilancio. «Un ecosistema che va potenziato e rilanciato – sperano Pavan e i naturalisti sacilesi –. Turismo sostenobile, si chiama». Le due smorte sono infilate nei tabulati delle zone umide minori: meandri tra vegetazione di ripa, con una vita straordinaria.
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