Slovenia, scatta l'obbligo di tampone per transfrontalieri e studenti: ecco le novità

LUBIANA. La Slovenia si chiude a riccio, limita a partire dal 5 febbraio il numero delle eccezioni per entrare nel Paese senza tampone e quarantena e impone il tampone o il test rapido non anteriore ai 7 giorni dall’ingresso Stato ai lavoratori transfrontalieri, agli studenti, ai docenti, ai ricercatori o a chi si reca oltre confine per motivi sanitari. Una doccia fredda per il Friuli Venezia Giulia dove chi va a lavorare in Slovenia oppure manda i figli a scuola al di là della frontiera rappresenta un numero elevatissimo di persone. Queste se vorranno esercitare ancora il loro diritto dovranno farsi un tampone o un test rapido dell’antigene(a proprie spese, circa 80 euro, meno, 25, per l’antigene) ogni sette giorni. Una esborso che mensilmente può variare dunque da un minimo di 100 euro a un massimo di 320 euro.
Immediata la reazione del presidente del Consiglio Sindacale Interregionale Italia-Slovenia, Roberto Treu secondo il quale definisce la norma varata dal governo Janša «una decisione preoccupante e ingiusta, in contrasto con le linee dell’Unione europea secondo le quali i lavoratori transfrontalieri non possono essere discriminati rispetto ai lavoratori residenti».Ma ci sono anche gli studenti. Esemplare la situazione della famiglia Visnovich che abita a Muggia vecchia e manda i due figli di 7 e 13 anni a scuola in Slovenia a Crevatini. «Siamo esterrefatti - afferma la signora Sabrina - e non sappiamo ancora nulla di preciso». In effetti la signora Sabrina, non essendo stata in quarantena, sempre per la nuova normativa emanata dal governo sloveno, può accompagnare oltre confine senza bisogno di tampone il figlio di 7 anni, ma non la figlia che ha già compiuto 13 anni. «A scuola - precisa la signora Visnovich - la maggioranza degli studenti è italiana, in classe di mio figlio ci sono tre ragazzi sloveni e 6 italiani». La realtà di un confine che nessuno vuole dopo che la cortina di ferro è implosa tra le sue contraddizioni ideologiche e strategiche.
Come le centinaia di italiani che sono domiciliati in Slovenia ma lavorano in Italia, soprattutto lungo l’intera fascia del Carso sloveno e che giovedì sera disperatamente cercavano notizie telefonando all’ospedale di Sesana o di Nova Gorica per sapere costi e modalità per eseguire i tamponi. C’è chi ha telefonato al Consolato italiano a Capodistria, ma la notizia è diventata di dominio pubblico solo in serata e gli uffici consolari erano oramai chiusi.
L’altra decisione presa dal governo è che d’ora in avanti non vale più la regionalizzazione della situazione epidemiologica, ogni decisione presa sarà valida su tutto il territorio nazionale (del resto in Slovenia le regioni non sono entità amministrative, ma pure espressioni geografiche). Quindi, come annunciato dal premier Janša, in tutta la Slovenia è stato deciso che si possano attuare lezioni in presenza dagli asili fino alla terza classe elementare. Possibili lezioni in presenza, ma solo se individuali, nei conservatori e nelle scuole di danza. Inoltre è consentita la riapertura delle biblioteche, dei musei e delle gallerie d’arte.
Sulla scuola ci sono state nei giorni scorsi numerose polemiche in Slovenia con genitori e alcuni docenti che chiedevano a gran voce il ritorno in classe. E qualche polemica c’è stata anche giovedì, nel corso della riunione dell’esecutivo, in quanto alcuni esperti ritenevano possibile che fossero riaperte tutte le classi elementari, ossia fino alla quinta, ma l’ultima parola spetta alla politica che ha deciso la strada della prudenza. «Abbiamo rilevato - ha detto Janša - che la situazione dell'epidemia in Slovenia è ancora grave se guardiamo la mappa dell'Europa. In termini di contagi sulla base del milione o di 100 mila abitanti, siamo ancora al vertice di questa triste classifica».
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