Sgarbi: vi presento un grande è Pordenone Montanari

TRIESTE. La critica gli era stata fatta da poco: «Un solo quadro di Pordenone Montanari qui non basta». Cosí inizia il racconto di Vittorio Sgarbi, presente oggi a Portovecchio a Trieste per presentare il catalogo della sua Biennale Diffusa e per omaggiare Americo Pordenone Montanari, il Salinger dell’arte, l’artista pordenonese considerato il nuovo Picasso che Sgarbi presenterà in una personale di dieci quadri, alle 16, dentro il Magazzino 26. L’effetto è a sorpresa, come tutto ciò che riguarda la vita appartata di questo schivo artista. «Conosco bene il lavoro di Montanari; lo seguo già dall’anno scorso quando l’Istituto di cultura italiana a Londra il 21 settembre 2010 gli ha dedicato, tra i clamori dei critici e del pubblico, un’interessante monografica». E dunque professor Sgarbi, lei si associa a Edward Lucie-Smith? Era stato il critico londinese infatti, ricordiamolo, che l’anno scorso aveva etichettato Montanari «come colui che ridisegna la storia della pittura italiana del Dopoguerra». Un primo giudizio tranchant, definitivo, che proveniendo da fonte autorevole aveva poi messo in moto la complessa e oscura macchina del consenso.
«Certo – conferma Sgarbi – e aggiungo volentieri: Pordenone è, sí, dentro le avanguardie storiche dei primi cinquant’anni del secolo scorso, ma con risultati personalissimi. E poi chi non è dentro quei modelli?». Qualche esempio? «L’ormai mitica Transavanguardia. A mio avviso i risultati di Montanari a volte sono migliori di quelli di Sandro Chia, nell’uso degli stessi riferimenti artistici». Il curatore della Biennale Diffusa giustamente si infervora. «Non solo l’ho voluto io in mostra qui con un suo quadro, certo piccolo, l’arte non si misura a peso e a colore, ma volevo già portarlo a giugno a Venezia e magari dedicargli una monografica vicino al Padiglione Italia. Ci sarebbe voluto uno sponsor privato - prosegue Sgarbi - cosa che non è accaduta purtroppo, come invece è successo fortunatamente per Gino De Dominicis e Marco Lodola, a Ca’ d’Oro». Americo Pordenone Montanari è davvero una bella storia da raccontare nel mondo contemporaneo dell’arte. Una storia raccontata anche su queste pagine in tempi non sospetti. E soprattutto ciò accadeva prima del glorioso debutto a Londra dello scorso settembre, che ha portato poi tutti a parlarne. Un bel sogno artistico che ha delle buone sponde in regione. Non solo Montanari è nato a Pordenone (1937), e questo come dice Vittorio Sgarbi «sono in pochi a saperlo e a ricordarsene», ma c’è anche chi, vicino a noi, è da tempo un collezionista del nostro. Ci stiamo riferendo all’editore Carlo Marcello Conti, delle friulane edizioni Campanotto (Pasian di Prato-Udine), l’intellettuale che ormai molti anni fa, per primo in Italia, credette in Montanari scrittore e gli pubblicò alcuni saggi, dopo un incontro nella casa di San Nicolao a Biella. È questa la famosa dimora tutta bosco e atmosfere, che già all’epoca ospitava il buen retiro di Montanari e della devota moglie Flavia, e che ora appartiene all’uomo d’affari indiano Raja Khana, collezionista anche di tutti i quadri di Montanari.
Tutti, meno quelli di Conti, aggiungiamo noi. Era stato proprio a San Nicolao che l’editore, nel 1990, aveva avuto l’epifania della bravura di Montanari artista: erano centinaia le opere create in solitudine e sparse in ogni dove, e di queste alcune sono finite a Pasian di Prato «come cambio lavoro». Io ti pubblico i libri, tu mi dai le tue opere. «Già in quegli anni - ricorderà poi Conti in un’intervista - alcuni quadri li pagai a caro prezzo». Questo per dire che la vita di Montanari non ha nulla di naïf. Ha studiato a Brera ed esposto a Parigi, conosce il mercato. È semplicemente uno che sta lontano dai pettegolezzi. «Ma lei l’ha mai incontrato?», chiediamo a Sgarbi seccamente. Ai lettori l’ovvia risposta.
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