Sebastiano Somma: a Cave del Predil le scene piú forti

Presentata a Roma la quinta serie de “Un caso di coscienza”, da domenica 8 su Raiuno, girata fra Trieste e il Friuli

Va da sè che la coscienza stia patendo un disuso prolungato, l’uomo se ne distacca con preoccupante frequenza preferendo la più comoda incoscienza. Sta bene in un titolo - la coscienza - serve da monito, qualora servisse.

Un caso. È il quinto. Undici anni fa, nel 2002 su Raidue, emerse il primo. «Stavamo girando a Sofia quando l’America subì l’attacco alle Torri gemelle», svela Somma.

Di serie ne sfilano parecchie in televisione. Alcune si esauriscono come la candela alla cena degli innamorati, altre (poche) hanno l’energia e il buon senso di farsi guardare. Sebastiano Somma è riuscito a sublimare l’avvocato Rocco Tasca al punto da sistemarlo in bacheca tra gli highlander del catodo, vuoi per affetto, vuoi perché il togato signore è schierato, difende gli afflitti e i perseguitati; del potere, lui, se ne frega. Netto è il contrasto con il contemporaneo, habitat inadatto alla brava gente. Un caso di coscienza 5 è fatto e finito, aspetta solamente che qualcuno pigi il bottone per spedirlo nei salotti degli italiani. Domenica su Raiuno la messa in onda della puntata numero uno (ne seguiranno 5) in qualche modo santificherà l’abbrivio della stagione d’autunno.

- Più Friuli del solito dentro il suo legal-drama, per usare la terminologia corretta. Tanta Trieste, però...

«Significativo aggiungo e desiderato. Molti non sanno, ma gli anni friulani sono irremovibili, parte pesante della mia formazione. Ero un ventenne, l’età che plasma. Parecchi progetti nel cuore e intanto mi arrangiavo. Saldatore a Feletto, impiegato in un ufficio di via Mercatovecchio di rilevamenti immobiliari, insomma, a Udine c’è ancora tanto me rimasto lì, oltre a un nipote in quel di Raspano e un sacco di amici ovunque. A Luigi Perelli (il regista storico della serie e de “La Piovra”, ndr) confessai il mio affetto per il Friuli e lui, grand’uomo di televisione e con l’occhio veloce, individuò subito una location straordinaria, le Cave del Predil».

- Se non pigliamo un granchio proprio lì si è consumato l’epilogo della storia portante, quella che attraversa sei puntate come fosse una sopraelevata.

«Proprio così. La camorra sgusciata nel Nord non ce la siamo inventata noi e nemmeno i due sceneggiatori Andrea Purgatori e l’udinese Laura Ippoliti, da sempre fedeli alla causa. Se non bastasse l’allarme della cronaca, noi rafforziamo l’invasione della malavita organizzata attraverso il traffico di sostanze tossiche, un andirivieni pericoloso fra l’alto Stivale e quello più a Sud».

- Infatti, è un vostro orgoglio essere la finzione più vicina alla realtà.

«Cerchiamo di affiancare le sofferenze e le follie di un Paese contraddittorio. Forse per questo continuiamo a trovare un posto in tv».

- Anche stavolta andrete a muso duro contro tematiche forti.

«Quelle maledettamente indelebili. Razzismo, le solitudini di certi padri abbandonati dalla legge, il sovraffollamento delle carceri, i troppi virus delle adozioni, insomma un male di vivere comune che va denunciato soprattutto approfittando della potenza mediatica. Se vuol essere lotta dura, lottiamo. Lo spettacolo fa la sua parte».

- Apprezzano persino gli americani. Con tutti i legal che girano oltreoceano, eppure...

«Da qualche anno il Caso è diffuso da un network americano e gli ascolti sostengono la richiesta del successivo. Lo notò Dino De Laurentiis prima di salutarci tutti. Ne voleva fare un remake».

- Rocco Tasca un decennio dopo?

«La profondità d’animo è la stessa, il significato di un mestiere giusto è identico, uguale è l’accanimento verso la malvagità. Lui è cambiato tanto quanto sono cambiato io. Alcune strade le abbiamo percorse assieme. L’essere diventato padre (di una splendida bimba, Cartisia, ndr) ha confortato le gestualità di Rocco verso la figlia sua; il mondo si è ribaltato dal 2002, noi non gli siamo corsi dietro, tenendoci stretta la nostra autonomia di sguardo».

- Non solo tivù, Sebastiano. Fra poco debutterà a teatro col nuovo lavoro A ciascuno il suo di Leonardo Sciascia.

«La scena è una calamita. Impossibile resisterle. Guardi, in proposito avrei una tentazione: recitare a Udine. Chissà se riuscirò a salire sul palco del Nuovo. Io sono a disposizione. Basta una telefonata. Ci terrei davvero a tornare, anche per due sere soltanto».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto