“San Vito 1918-1946” Il diario della città tra le guerre, i lutti e la vita quotidiana

SAN VITO
Ventotto anni, dalla fine di una guerra disastrosa alla fase di ripresa da un’altra, diversa nei presupposti e nei metodi ma accomunata dalla stessa brutalità. Nel mezzo, la povertà della popolazione, l’invasione della vita quotidiana da parte della dittatura, ma anche i momenti di svago di una comunità che, tra quelle vie e quei palazzi, immortalati nelle foto d’epoca, ancora può scovare tracce di quella storia.
È quanto contenuto nelle 400 pagine di Diario San Vito al Tagliamento 1918-1946, opera del generale pilota in pensione Orfeo Durigon. Il volume sarà presentato oggi alle 17.30, nella sala consiliare di palazzo Rota. È la terza opera del sanvitese, autore prima di Storia postale di San Vito 1182-1870, poi, l’anno scorso, di San Vito nell’anno dell’invasione 1917-1918.
Come nei precedenti casi, il nuovo volume non è in commercio, ma prenotabile allo stesso autore e consultabile in biblioteca. Durigon lascia parlare, accompagnandoli soltanto con brevi didascalie, i documenti: una mole di fatti attestati da fotografie, manifesti, articoli e scritti, in parte inediti. Scovati in archivi locali, di Pordenone e di Udine, di enti, istituti, associazioni e privati. Un lavoro di due anni, sostenuto dalla sezione filatelica, numismatica e storica della Somsi di San Vito. Preziosissimo per quanti sono anche già a conoscenza della storia sanvitese. In copertina, la fascia del podestà del 1927, custodita nel museo storico di Ligugnana.
Le prime 200 pagine sono incentrate sul periodo tra il 4 novembre 1918 al 1943, la seconda parte sulla Liberazione e sulla Repubblica. «Un diario – puntualizza Durigon – dove non si trovano soltanto documenti sulla politica, ma anche su sagre, balli, eventi sportivi, cinema e via dicendo». In quelle carte e in quelle foto si trovano tutte le ricadute dei grandi eventi nella piccola realtà sanvitese, partendo dalla grave crisi economica e politica del primo dopoguerra seguita a saccheggi e miseria. A San Vito non ci fu un biennio rosso “caldo” come altrove (si ricorda solo uno sciopero alla filanda Piva), ma il malcontento era diffuso. Nel 1922, subito dopo la Marcia su Roma, ecco il colpo di mano: «I primi squadristi sanvitesi erano 18 – ricorda Durigon –, con loro tanti simpatizzanti. Radunarono il sindaco e deputato Pio Morassutti e la giunta in piazza Maggiore, gli tagliuzzarono i capelli e sporcarono il viso. È l’unica azione fascista violenta di cui c’è traccia nei documenti».
Quella piazza, il 5 giugno 1925, fu poi intitolata a Vittorio Emanuele III, mentre il commissario prefettizio Claudio Fogolin (già cofondatore della Lancia) il 31 dicembre 1943 cambiò il nome, definitivamente, in piazza del Popolo.
A succedere a Morassutti, nel 1923, fu Enrico Fancello, prima sindaco, poi podestà sino all’avvento di Fogolin. Un fatto sconosciuto: «I documenti dicono che furono soltanto 7 coraggiosi sanvitesi, nel plebiscito del 1929, a votare “no” alla lista dei deputati indicati dal partito, contro 2.302 a favore (i residenti allora erano 12 mila)». In seguito, il fascismo invase gradualmente la vita del cittadino: lo si vede nelle foto sanvitesi su manifestazioni, vita scolastica, iniziative di impegno sociale o istituzionali.
Nel periodo della guerra, dominavano i manifesti di propaganda fascista e nazista. Ed ecco la lotta gappista e partigiana e i disastrosi bombardamenti alleati. «Le suore di clausura del monastero della Visitazione – altro fatto raccolto da Durigon – furono raggiunte dalle SS, che pretendevano la consegna di una consorella veneziana ebrea di origine inglese: la madre superiora si rifiutò». Si arriva al 1946, con l’elezione a sindaco di Sante Ciani e il referendum monarchia-Repubblica. Chiudendosi un ciclo, la situazione era quella dell’inizio del libro: «Miseria e disoccupazione». –
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