«Ritrovare il sogno urbanistico»

Provo a inserirmi nel dibattito che si è sviluppato sul Messaggero Veneto concernente le sorti passate, presenti e soprattutto future di Udine. Lo faccio nel tentativo di offrire un’ottica forse un po’ diversa, e per questo spero utile, alle riflessioni che si susseguono.
Premettendo che trovo particolarmente condivisibili e stimolanti le osservazioni e le proposte formulate da Paolo Patui e, da ultimo, da Stefano Stefanel alle quali aderisco e che non riprendo ulteriormente per necessaria brevità di sintesi, l’ottica a cui mi riferisco è quella di un udinese non autoctono essendo io originario di Cividale (che no je une vile ma une ponte di citât) dove vissi per quasi 20 anni per poi passarnealtri 18 a Trieste, città che porto ancora nel cuore.
A Udine ci arrivai per ragioni familiari nel 1989 e all’inizio l’inevitabile raffronto con il capoluogo regionale fu impietoso. Udine non mi sembrò accogliente, nonostante fossi friulano più o meno doc e l’avessi conosciuta non marginalmente pur provenendo dal “contado”. Era certamente una città ben amministrata, come lo è del resto oggi, ma apparentemente priva di slanci, con serate poco frequentate e molto casalinghe: provinciale e assopita.
Poi fu la metamorfosi, la freschezza della gioventù universitaria, la contaminazione culturale, la riappropriazione dei luoghi, il sorgere di eventi e manifestazioni, il teatro e la cultura che usciva finalmente dai circoli elitari e si faceva popolare invadendo periodicamente piazze e spazi cittadini.
L’opera di alcune buone amministrazioni, da Enzo Barazza, pur con la parentesi del commissariamento, a Sergio Cecotti al primo Furio Honsell ha contribuito, assieme ad altri concomitanti fattori, a rendere Udine una città meno provinciale, più viva con una qualità dei servizi e della vita che, giustamente, molti ci invidiano.
Da qualche anno, però, lo slancio si è come rattrappito, vuoi la crisi, vuoi un ricambio generazionale incompiuto, vuoi la stanchezza del cammino fatto, oggi la città e la sua amministrazione sembrano avere il fiato corto. La visione che aveva prodotto il nuovo Piano regolatore generale comunale (Prgc), il Piano urbano della mobilità (Pum), un sistema di assistenza sociale efficace, uno sviluppo turistico e culturale che sembrava lanciato verso più significativi risultati sembra venuta meno, prevalgono gli aspetti quotidiani di gestione, si vive (con un certo affanno) il presente senza più forse l’intenzione del volo.
Il Prgc immaginava una Udine da qui a vent’anni di cui delineava i caratteri, assieme al Pum e a una progettualità urbanistica correlata a uno sviluppo attento alla qualità dei luoghi e del vivere: ecco quell’orizzonte è scomparso.
Nessuno è così ingenuo da non capire che le attuali difficoltà economiche e finanziarie ne hanno inevitabilmente ritardato il raggiungimento dilatandone i tempi di realizzazione, ma la carenza di risorse avrebbe dovuto moltiplicare gli sforzi, stimolare la fantasia, mantenere saldi i lineamenti del “sogno” e, soprattutto, farlo percepire a una cittadinanza che sembra oggi smarrita per i troppi “stop and go” dell’amministrazione comunale, per le incertezze e i cambi di direzione su progetti e indirizzi.
La pedonalizzazione vera ed europea del centro storico, la valorizzazione di Mercatovecchio (smettiamola di chiamarla via altrimenti resterà sempre una strada), una progettualità complessiva sulla funzione delle piazze e degli spazi architettonici che ne valorizzi la fruibilità senza sovrapposizioni innaturali (che ci azzecca il basket in piazza San Giacomo), la restituzione di piazza Primo Maggio agli udinesi sottraendola alle auto e al traffico perché sia di nuovo il nostro Giardin Grande, un ripensamento di piazza Patriarcato perché i Giardini Ricasoli non rimangano la mera dependance di un semaforo e forse di una rotonda: tutto questo può e deve diventare un pezzo di un disegno capace di indicare una prospettiva.
E ancora il recupero delle aree dismesse (caserme, Safau) magari riprendendo la prospettiva del secondo polo sanitario cittadino, il mantenimento del progetto originario per il recupero dell’ex Macello e dell’ex Frigorifero, facendone una cittadella dei giovani e della cultura, senza ibridarla con l’innesto nell’ex Macello di pezzi insufficienti del Museo di Storia naturale e di iniziative estranee. E poi la valorizzazione dei borghi, il recupero dell’Odeon, le sinergie con l’hinterland ricordate da Patui per uno sviluppo culturale e turistico integrato, il riutilizzo di strutture scolastiche proposto da Sefanel: questi dovrebbero essere i tratti del “sogno”. Una prospettiva di lungo periodo, ma farebbe comprendere agli udinesi, e non solo a loro, il significato complessivo di una progettualità che in parte già c’è, ma che non è percepita, che ora appare un disordinato insieme di interventi spot .
* ex coordinatore del Forum
territorio e ambiente del Pd
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