Quel “Di” inesistente che cambiò il destino a Riccardo Giusto

D. estino ingrato per i veri eroi, in particolare se friulani. La storia di Riccardo Di Giusto (pardon: Riccardo Giusto, senza il “Di”) è emblematica di tutto ciò che rasenta il racconto giallo se si vanno ad analizzare gli incredibili passaggi attraverso i quali il ragazzo udinese di San Gottardo si vide espropriare di un bel po’ di diritti, a cominciare dallo stesso cognome.
Si dirà: cosa minima e banale rispetto alla tragedia della prima guerra mondiale che ebbe inizio, sul fronte italiano, proprio con la sua morte. Ma la vicenda è un po’ più complicata e chiama in causa la leggerezza e la disattenzione in uso nel Belpaese nei confronti delle persone perbene e soprattutto degli eroi loro malgrado. Riccardo fu iscritto a tale gloriosa categoria per un fatto malaugurato in cui incappò quando l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria e alle ore 0 del 24 maggio 1915 si accesero le ostilità.
Riccardo, 20 anni, alpino dell’ottavo reggimento, sedicesima compagnia, cadde colpito mortalmente prima dell’alba, alle 4, nei pressi dei casoni Solarie, in comune di Drenchia, Val Cosizza. Da quel momento finisce la sua verdissima vita, ma comincia un’incredibile odissea, raccontata a frammenti e a spezzoni più volte in questo secolo e finalmente raccolta in un libro ad hoc, completo di ogni dettaglio, scritto da Claudio Zanier e Paolo Strazzolini ed edito da Aviani&Aviani. Si intitola “Riccardo Giusto. Tra storia e leggenda la vicenda del primo soldato italiano caduto nella Grande Guerra”. Sarà presentato domani, alle 18, nella sala della Fondazione Crup, in via Manin, a Udine.
Prima di tutto quel cognome: in ogni documento anagrafico, ecclesiastico, militare, viene indicato come Riccardo Giusto (senza l’assurdo e sbagliato “Di”), nato in località Casali San Gottardo il 10 febbraio 1895, da Giuseppe Giusto e Maria Indri, che si erano sposati nella parrocchia del Redentore e che ebbero in tutto nove figli. Riccardo faceva il facchino nella stazione di Udine, ma non il ferroviere come è stato anche detto in quanto, in quel caso, avrebbe salvato la vita almeno all’inizio del conflitto visto che tale personale era considerato essenziale allo sforzo bellico ed esentato dal servizio militare.
Riccardo invece venne chiamato alle armi già il 12 gennaio 1915. Era alto 167 centimetri, capigliatura bionda ondulata, occhi castani, colorito roseo come è scritto nel foglio matricolare: insomma un virgulto della terra friulana e per questo spedito, dopo un breve periodo alla caserma Di Prampero di Udine, nel Battaglione Cividale, in riva al Natisone, in attesa degli eventi, che infatti deflagrarono. Nella notte tra 23 e 24 maggio, la compagnia di Riccardo si trovò in prima linea sul monte Jeza e lui venne immediatamente colpito.
Poche ore dopo la stessa sorte toccò a un altro friulano, Giovanni Battista Tarondo, 23 anni di Tricesimo. Su quanto accaduto quel giorno ci sono testimonianze e resoconti, riportati con stile burocratico oppure con lo slancio sincero di chi era lì, accanto al ragazzo di San Gottardo. Il libro di Zanier e Strazzolini li elenca tutti, fino ai più recenti, attraverso le parole di reduci intervistati a oltre mezzo secolo di distanza.
Le fasi dello scontro sono state ricostruite, mentre diverso è il destino toccato a Riccardo. Il primo a interessarsi a lui è un milanese, Carlo Gallardi Rivolta, vigile urbano, che nel settembre del 1915 lancia una sottoscrizione popolare per un monumento a ricordo del primo caduto italiano in guerra. Inizialmente i comandi militari non rispondono alla domanda su chi sia, ci arrivano con calma per cui solo il 30 giugno 1923 il quotidiano “Il Giornale di Udine” pubblica la notizia che la sua salma, esumata dal cimitero di Drenchia, viene portata a San Gottardo.
Ma qui scatta la trappola degli equivoci: l’articolo parla infatti di “Riccardo Di Giusto”. Nel novembre del 1924 viene posta una lapide sulla casa natale e un altro giornale, “La Patria del Friuli”, scrive esattamente “Riccardo Giusto”, ma a un certo punto appare la frase «... dinanzi all'abitazione della famiglia Di Giusto», dove la “di” dovrebbe essere una preposizione semplice, ma la maiuscola cambia tutto e ufficializza il nuovo cognome. L’imprimatur viene poi dal sommo Chino Ermacora che sulla rivista “La Panarie” parla di «Riccardo Di Giusto, caduto nella luce radiosa di gloria che doveva condurre l’Italia a Vittorio Veneto eccetera eccetera».
Parole che stimolano la debordante retorica di Gabriele D’Annunzio, amico di Ermacora, e la frittata è confezionata. Quando nel 1929 il podestà di Udine gli dedica una via, Riccardo è ormai diventato a ogni effetto “Di Giusto”. Addirittura nel Tempio ossario la scritta sul loculo riporta un inesistente «Soldato Riccardo Di Giusto Secondo». Nella lapide sulla casa viene aggiunto in fretta un precario “Di” davanti a Giusto. Intanto c’è chi contesta che sia lui il primo caduto italiano. Spunta anche un “concorrente” triestino, un irredento, l’alpino Angelo Di Valentini, ma poi si stabilì che venne ucciso alle 3 del pomeriggio.
Invece alle 3.45 del mattino morì sotto un bombardamento da parte di navi austriache, sulla costa ravennate, un certo Natale Zen, di Chioggia, ma questi era un operaio militarizzato della marina, e dunque Riccardo rimase il primo soldato morto in combattimento. Si disse poi che gli fosse stata assegnata la medaglia d’oro al valor militare, cosa ora smentita nel libro di Zanier e Strazzolini.
Una domanda: come mai la famiglia, di fronte a refusi tipografici, errori marchiani nelle lapidi e nella intitolazione di strade, non disse nulla e non fece correggere? Una spiegazione logica c’è: il timore di perdere la modesta pensione di guerra di cui la madre godeva. Del resto, quando ti rivolgi alla burocrazia (in ogni epoca) non sai mai come va a finire.
Il libro termina con un appello rivolto al Comune: a un secolo di distanza, rendiamo finalmente giustizia a “Riccardo Giusto”, chiamandolo con il suo cognome, e ristabiliamo la verità. Se hanno cambiato intitolazione al piazzale Cadorna, un piccolo sforzo per il ragazzo di San Gottardo, eroe suo malgrado, può forse essere fatto.
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