Quarant’anni fa la prima partita allo stadio Friuli, simbolo di rinascita

Il 26 settembre del 1976 l’esordio dell’Udinese al Friuli. Lo sport per ripartire: ad Ascoli sta accadendo lo stesso

UDINE. Di quella partita i 17 mila spettatori ricordano soprattutto tre cose: il minuto di raccoglimento per le mille vittime del terremoto, il gol su punizione di Pellegrini al 13’ della ripresa, dopo che a lungo era stato invocato il rigore, e quella scossa di terremoto che aveva fatto tremare tutti sulle gradinate dei Rizzi.

No, quella del 26 settembre 1976 non sarà mai una semplice partita del campionato di serie C dell’Udinese. Lunedì saranno passati quarant’anni dalla prima partita giocata allo stadio Friuli, simbolo naturale della ricostruzione d’una regione che stava ancora piangendo i suoi, morti, ridotta a un cumulo di macerie ed era squassata dalle scosse.

Basterebbe questo per spiegare perché per i tifosi dell’Udinese quello sarà sempre lo stadio Friuli. Con buona pace delle marche automobilistiche.

Quel giorno, undici dopo la terribile scossa del 15 settembre, che riportò con un boato e un sussulto il Friuli alla tragica realtà del 6 maggio, sotto l’imponente arco della tribuna centrale si accomodarono più di diecimila persone. Le altre si sistemarono sui gradoni in erba. Sì, lo stadio era ancora un cantiere. Ma quell’arco, ispirato allo stadio Olimpico di Monaco, era un’arcobaleno di rinascita.

Diciassettemila persone per tifare Udinese. Era la prima squadra di Sanson e Dal Cin; di Paleari in porta, di Corti, di Fanesi; di Pellegrini, l’autore del gol. L’avversario? Non ancora la Juve, l’ Inter, il Milan, il Barcellona. Era il Seregno, onesta squadra di terza serie con un giocatore che venticinque anni dopo avrebbe fatto capolino in serie A da allenatore: Bepi Pillon. L’Udinese era agli albori d’un progetto vincente che avrebbe portato sette anni dopo in Friuli un certo Zico, il numero uno al mondo.

Proprio per l’emergenza terremoto e per consentire l’apertura dello stadio aveva giocato, e vinto, le prime due partite del torneo in trasferta. Col Seregno fece filotto mantenendo con il Lecco la testa della classifica. A fine campionato non sarebbe arrivata la promozione in B; dall’anno dopo sarebbe toccato a Massimo Giacomini il capolavoro del doppio salto in A.

Ma la zebretta in quell’anno fu per i friulani più d’un motivo per sperare nella rinascita e per distogliere la testa da lutti, macerie, posto di lavoro da ricostruire. Il titolo in rosso della prima pagina del Messaggero Veneto del 27 settembre è eloquente: “Zamberletti chiederà più fondi a Roma, improvviso aumento del numero di scosse”. Ma sotto: “Positivo debutto dell’Udinese ai Rizzi” con la foto dell’arco-arcobaleno.

Non solo dalla città. Da Lignano, Grado e Bibione, dove da alcuni giorni erano stati trasferiti dopo la mazzata del 15 settembre, in tanti andarono allo stadio. E continurono negli anni successivi. Sempre più.

Non è un caso che ad Ascoli, un passo dalla valle del Tronto un mese fa devastata dal sisma, stia accadendo la stessa cosa. Sentite l’ex direttore sportivo dell’Udinese Cristiano Giaretta, da quest’anno dirigente dell’Ascoli in serie B. «La nostra squadra sta servendo in queste settimane per alleggerire i pensieri della gente, che si trova unita a sostenere la propria città.

Qui ad Ascoli c’è un grande senso di appartenenza per i colori sociali. La città ha 49 mila abitanti ma, nonostante il sisma, allo stadio in queste prime partite sono arrivare sempre più di diecimila persone. Abbiamo adottato diverse iniziative per i terremotati di Amatrice e degli altri paesi e la risposta è stata incredibile.

Non manca mai un momento allo stadio per ricordare la tragedia e credo che la rinascita venga coltivata dalla gente proprio venendo allo stadio». Come 40 anni fa in Friuli. Le cose della vita non accadono a caso: i colori dell’Ascoli sono il bianco e il nero.

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