Quando Udine era la città degli avvocati

UDINE. La leggenda (ma forse non è solo leggenda) dice che a far decidere quale sede dare al nuovo teatro, atteso per decenni dagli udinesi, fossero stati gli avvocati. Avendo gli uffici in centro, preferivano raggiungere a piedi le aule giudiziarie.

Così il tribunale venne costruito negli spazi dove c’era un tempo l’ospedale vecchio mentre il “teatrone” (come fu poi chiamato) finì in via Trento, al posto della società del gas e dell’acqua, un po’ distante dal cuore cittadino. Verità o solo una battuta?

In ogni caso la storiella riporta un po’ alla memoria il potere effettivo che gli avvocati esercitarono a lungo in città, dividendo questa loro autorevolezza con i commercianti che scandivano i ritmi di Mercatovecchio e dintorni.

Ciò accadeva sul piano amministrativo e nella gestione comunale, essendo una conseguenza della prestigiosa presenza che gli avvocati udinesi e friulani facevano valere nelle file della politica che era risorta, dopo il 1945, dalla guerra e del ventennio di dittatura.

Bastano alcune notizie statistiche per illuminare il quadro e proporre dati ormai dimenticati. Numerosi sono stati gli esponenti del foro a guidare, in qualità di sindaci, la città rappresentando quasi una tradizione consolidata, con poche interruzioni.

Il primo fu Giovanni Cosattini dal ’45 al ’48, seguito da Giacomo Centazzo, in carica fino al 1960, poi da Angelo Candolini dal 1975 al 1985, Pier Giorgio Bressani, dall’85 al ’90, Piero Zanfagnini, primo cittadino fino al ’93, Claudio Mussato, fino al ’95, Enzo Barazza, fino al ’98. Con Sergio Cecotti, eletto il 2 dicembre del ’98, si inaugurò invece la fase dei sindaci docenti universitari che continua tuttora con Furio Honsell.

Di questo mondo, legato all’attività forense, ma anche all’impegno a favore della città e del Friuli sotto l’aspetto sociale ed economico, l’avvocato Roberto Tonazzi, morto l’altro giorno a 92 anni, era certamente uno degli esponenti più noti e storici. Di lui si cita in particolare il lungo periodo al vertice della Banca Popolare Udinese.

Un’esperienza analoga venne vissuta da un suo famoso collega, Antonio Comelli, che dopo aver lasciato il mondo della politica, a seguito di quei ribaltoni dentro i partiti che erano abbastanza frequenti al tempo della Prima repubblica, assunse nel 1988 la presidenza della Cassa di risparmio di Udine e Pordenone, guidandola in una fase cruciale per le nuove regole imposte al sistema bancario.

Anche in questo incarico Comelli rivelò le doti di saggezza e saldezza mostrate nell’immane compito di pilotare la Regione negli anni del terremoto. Sul campo, il presidente originario di Nimis, dopo i tormenti iniziali e le contestazioni della prima ora nell’estate del ’76, si era ritagliato alla fine una popolarità che a un certo punto rivaleggiava con quella acquisita da Angelo Candolini, originario di Tarcento, impegnato nel far crescere il ruolo e la personalità di Udine in un decennio decisivo.

Avvocati dunque in prima linea, nella professione e anche istituzioni politiche, sociali, economiche. Aspetti forse poco ricordati, ma descritti in un libro molto bello, “Come eravamo”, edito da Marsilio, in cui Nino Orlandi narra le storie di alcuni di questi personaggi.

E dice a un certo punto: «Quale straordinaria emozione, per chi iniziava la pratica di avvocato, dopo quella sorta di prima iniziazione rappresentata dal giuramento, l’accompagnare il Maestro all’udienza civile ed essere dallo stesso presentato ai colleghi, che porgevano la mano e buttavano lì una battuta, un rimpianto o un augurio. E quei nomi poi: Vallerugo e Centazzo, Tessitori e Fortuna, Zanfagnini e Candolini, Comelli e Sartoretti e Fioretti, Veritti, Battocletti, De Carli e Gioffrè. Nomi che correvano sulla bocca di tutti, anche dei profani, e che erano circondati da un alone di autorevolezza, quasi di sacralità. Ne abbiamo fatto alcuni, altri li abbiamo nel cuore...».

Le citazioni proposte da Orlandi riguardano pure volti ben noti della vecchia politica, cui si possono affiancare altri come Guglielmo e Giovanni Pelizzo, o Manlio Michelutti (che fu presidente della Filologica), a conferma di un ruolo di spicco svolto su più fronti.

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