Quando Pasolini era “Stukas” e segnava ai portieri avversari

Il Centro studi di Casarsa riunirà sabato sportivi e intellettuali da Beha a Pizzul: scontro fra vecchie glorie e il film dell’ultima partita
CASARSA.
A Casarsa, sabato, una nuova intrigante iniziativa sigillerà l’intenso programma di attività che il Centro Studi Pier Paolo Pasolini ha sviluppato nel corso del 2010 intorno al poeta corsaro, anche nel ricordo dei 35 anni dalla morte. Ora, in sinergia con il Comune di Casarsa, in collaborazione con Cinemazero di Pordenone e con il sostegno ad hoc della FriulAdria Crédit Agricole, è di scena il Pasolini appassionato di calcio e giocatore veemente a sua volta nel ruolo consueto di fantasiosa ala destra, per il quale si meritò il nomignolo di Stukas.


Questo amore autentico per un gioco popolare, da lui definito un “rito” e “l’ultima rappresentazione sacra” della modernità, ebbe modo di fiorire in gioventú, a Bologna e soprattutto negli anni friulani, nelle fila delle squadri locali dal Sas Casarsa e della Sangiovannese calcio, anch’esse partner, con le Vecchie Glorie, della originale manifestazione. E proprio nel vecchio campo sportivo accanto alla ferrovia, oggi dismesso, dove negli anni Quaranta quelle squadre trepestavano un “prato” chissà quanto accidentato (il ”prato” è immagine cara alla letteratura pasoliniana, quasi una metafora ricorrente), il programma prevede alle 10.30 una partitella tra le Vecchie Glorie delle due antiche compagini, una delle quali (la Sangiovannese) ha anche fatto emergere dalla polvere degli archivi personali un’inedita foto di gruppo calcistico, in cui compare un giovane Pier Paolo, serissimo e vagamente malinconico.


Il clou della giornata si concentrerà poi nel pomeriggio, quando alle ore 16.30, al Teatro Pasolini, si darà ritrovo un vero parterre de roi di studiosi del settore e di commentatori militanti, quali Massimo Raffaeli, critico letterario e ormai grande amico del Centro studi (a lui si deve l’idea del convegno), i giornalisti doc Bruno Pizzul e Oliviero Beha (quest’ultimo autore di graffianti saggi calcistici), lo scrittore Alberto Garlini (leggerà alcuni brani del suo
Fútbol Bailado
, liberamente ispirato all’ultima partita giocata da Pasolini nel 1975, tra le troupe del suo Salò e del 900 di Bertolucci) e Valerio Piccioni, autore della prima biografia-antologia (Quando giocava Pasolini. Calci, corse e parole di un poeta, 1996) su un Pasolini a suo modo poco noto, che viveva lo sport con la passione di un ragazzo di borgata e la complessità di un intellettuale raffinato. Toccherà invece al giornalista Andrea Canzian, col supporto di una galleria di foto d’epoca, raccontare il calcio degli anni casarsesi, da lui ricostruito anche in un libro prezioso.


Imperdibili, poi, i contributi filmati che, per la cura di Cinemazero, arricchiranno il convegno: il raro documentario firmato da Elio Ciol negli anni Cinquanta Il campo di calcio del Casarsa di Pasolini, uno spezzone da
Comizi d’amore
(1963), con Pasolini che intervista gli imbarazzati giocatori del “suo” Bologna, e soprattutto la breve e struggente sequenza dell’ultima partita giocata da Pasolini, come detto, nel 1975, allora filmata dalla moglie di Bertolucci, Claire People, e poi montata nel film di Laura Betti
Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno
(2001).


Quello fu inconsapevolmente un congedo non solo dalla vita, ferocemente troncata poco dopo, ma anche da un gioco in cui Pasolini, anche lí in controtendenza con lo snobismo intellettuale di molti scrittori, si assesta in buona compagnia con altri spiriti eletti (Leopardi, Saba, Sereni, Bassani, Volponi) che nel calcio, ognuno a suo modo, hanno colto «una metafora della vita», come scrisse Sartre, e «l’arte dell’imprevisto», come chiosò l’italo-brasiliano Eduardo Galeano. Pasolini si spinse anche oltre e, forte di un’acuta competenza tecnica, individuò nel football un sistema di segni, «un linguaggio», scrisse, con le unità minime dei «podèmi», le cui infinite possibilità combinatorie generano le «parole calcistiche», da infilare nella «sintassi» delle partite, interpretate poi da calciatori in prosa, come Bulgarelli, o in poesia, come Riva e i brasiliani.


Ma, riflessioni teorico-semiologiche a parte, resta del Pasolini calciatore l’accensione vissuta di gioia calcistica, di cui danno una commovente testimonianza anche molte fotografie “romane”. E infatti anche nella periferia della Capitale, tra Pietralata e Monteverde, su scenari di casermoni, polveroni, campetti spelacchiati e immaginabili parolacce, il poeta-regista ormai famoso ritrovava con amati pischelli di borgata, compagni di partitelle improvvisate, la libertà del bambino friulano, che corre dietro una palla, la fa volare e rivive attimi puri di felicità.


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