Puntavano all’eredità milionaria, bancario e badante condannati

Erano entrambi di casa da anni: la badante e il bancario, amici fidati, oltre che collaboratori preziosi nell’amministrazione del menage familiare. E in particolare del patrimonio che, alla morte di una delle due sorelle era rimasto interamente in capo all’altra. Per un totale di oltre un milione di euro. Soldi che, all’età di 88 anni e in assenza di eredi entro il sesto grado, l’anziana, residente in un comune del Friuli collinare, aveva deciso di destinare alle persone e alle istituzioni a lei più care. Compresi, appunto, Adelina Passerini, 66 anni, di Majano, e Claudio Gallina, 63, di Nimis.
Finché, il sospetto che fossero stati proprio loro due, approfittando della sua demenza senile, a indurla a indicarli nel proprio testamento, non aveva messo in moto un’inchiesta penale per le ipotesi di concorso in circonvenzione d’incapace e tentata appropriazione indebita. Il processo che ne seguì si è chiuso con la condanna della donna a 2 anni e 6 mesi di reclusione e e dell’uomo a 2 anni e 8 mesi, in relazione alla sola prima accusa, e con l’assoluzione per la seconda.
La sentenza è stata emessa dal giudice monocratico del tribunale di Udine, Mauro Qualizza, a fronte della proposta di 2 anni e 3 mesi l’uno avanzata dal pm onorario Marzia Gaspardis, e delle richieste di assoluzione dei difensori, gli avvocati Alberto Liuzzi (per Passerini) e Valerio Toneatto (per Gallina), che hanno annunciato appello. Poco dopo l’avvio del procedimento, l’anziana è stata sottoposta ad amministrazione di sostegno e ricoverata in casa di riposo.
Era stata la stessa banca in cui Gallina lavorava, la filiale di Tarcento della Credit Agricole Friuladria - dove il dipendente ha continuato a prestare servizio fino al pensionamento -, a segnalare il caso alla Procura di Udine e impedire il perfezionamento delle operazioni. A cominciare dal riscatto totale della polizza vita da 860 mila euro intestata all’anziana e che sarebbe dovuta confluire su un conto «cointestato all’imputato e alla cliente» grazie alla procura notarile che gli era stata rilasciata. Era l’ottobre del 2016.
Meno di un anno dopo, a insospettire di nuovo erano stati i due bonifici da 100 mila euro l’uno effettuati da Gallina a favore della Passerini per la «ristrutturazione» della sua casa e su un conto aperto a nome dell’anziana in un’altra banca. Il mese successivo, accortisi del blocco della banca a entrambi i bonifici «in quanto considerati donazioni prive dei requisiti formali», la badante si era presentata di persona con l’anziana per ripetere l’operazione. Era stato a quel punto, di fronte alla «condizioni psichiche della disponente», apparsa «confusa, inconsapevole e manipolata» – scrive il giudice nella sentenza – che i vertici dell’istituto si erano rivolti all’autorità giudiziaria. Le indagini della Polizia avrebbero rivelato come nel testamento olografo depositato nell’ottobre 2016, l’anziana avesse disposto il lascito di 350 mila euro e l’abitazione alla Passerini e 300 mila euro a Gallina, oltre a 100 mila euro a una scuola materna e 300 mila a un’azienda pubblica di servizi alla persona.
Dirimenti, nella valutazione del giudice, la perizia affidata allo psichiatra Marco Stefanutti, che ha evidenziato «lo stato di deficienza psichica da alcuni decenni» della parte offesa, e le testimonianze in aula di conoscenti e altri bancari, concordi nell’attribuirle «l’assoluta incapacità di effettuare qualsivoglia operazione».
Una persona «assoggettabile», quindi. Ma assai diversa da quella descritta dai testi della difesa. In primis, il medico di base che la visitava ogni due mesi e che, dopo la morte della sorella, riscontrò in lei «insospettabili doti reattive e di autonomia». Per non dire del personale sanitario che la seguì in occasione di due ricoveri ospedalieri, nel 2016 e nel 2017, e che la giudicò «lucida, collaborante e con una diagnosi di psicosi lieve ben compensata», ha ricordato l’avvocato Toneatto. Aggiungendo come nel 2014 «fu lei stessa a recarsi da sola dal notaio per informarsi sul testamento». Sul piano fattuale, il difensore ha insistito in particolare sull’errore dei magistrati di continuare a ritenere «cointestato» un conto che, dopo il disinvestimento della polizza, era invece semplicemente quello suo vecchio. «È chiaro che un’anziana ha le sue fragilità e che può essere circonvenibile – ha concluso il legale –, ma la circonvenzione va dimostrata e nel nostro caso gli atti disposti avevano senz’altro un senso: lasciare i propri soldi ai suoi due punti di riferimento. Proprio come fece anche verso l’Asp e una scuola».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto