«Provata l’esistenza già 9500 anni fa di una civiltà con capacità tecniche evolute»

MORTEGLIANO. E adesso? Ora si prosegue con i rilievi, per arrivare a mappe sempre più dettagliate dal punto di vista geofisico e per assegnare così un contorno più preciso alle attività umane svolte in quell’insediamento 9500 anni fa.
«Intanto, abbiamo stabilito che lì c’era qualcosa di stanziale – spiega Emanuele Lodolo (nella foto) –. Abbiamo cioè riesumato le radici di quella civiltà. E lo abbiamo fatto con dati scientifici».
Sotto quelle stesse acque, però, c’è molto altro ancora e la sua spedizione ha già trovato testimonianze non meno eccezionali.
«Diversi mesi prima del monolite – continua Lodolo –, avevamo individuato una specie di muro lungo 820 metri e formato da pietroni di 5 metri per 5 che chiudono una baia. Qualcosa di troppo regolare e chiaramente rimodellato: a nostro avviso, una specie di diga di contenimento contro il progressivo innalzamento del mare, a protezione del villaggio. La spiegazione che ci siamo dati – continua – è che quel sito avesse un’importanza strategica. Purtroppo, però, non disponiamo di elementi scientifici altrettanto inattaccabili e tali da escludere che si tratti invece di una formazione naturale. Quel che ci manca ancora, in altre parole, è la cosiddetta “pistola fumante”. Secondo i nostri studi, comunque, la composizione delle rocce è la stessa di quelle del monolito».
A riprova di quanto evoluta fosse la gente che viveva in quel sito. «La convinzione che i nostri antenati non avessero le conoscenze, l’abilità e la tecnologia per sfruttare le risorse naturali e fare traversate marittime – afferma Lodolo –, deve essere progressivamente abbandonata. Le recenti scoperte di archeologia sommersa hanno definitivamente eliminato il concetto di “primitivismo tecnologico”, spesso attribuito ai cacciatori-raccoglitori delle zone costiere».
La loro strordinaria esperienza di Lodolo e del suo team consegna anche un altro messaggio decisivo alle generazioni di ricercatori presenti e future.
«Per andare a caccia delle vestigia della nostra civiltà nella regione del Mediterraneo – dice il geofisico marino di Mortegliano –, bisogna concentrare le ricerche nelle aree di mare basso delle nostre piattaforme continentali. È lì, sotto quelle acque, che una vasta documentazione archeologica dei primi insediamenti umani giace ancora sepolta. Penso che questa sia la vera sfida dell’archeologia moderna».
Per lui, intanto, i trofei capaci di compensare anni di studi, attese e riscontri, sono davvero arrivati. L’emozione più grande?
«Ricordo in particolare due momenti – racconta –. Il primo, quando uno dei sub, una volta emerso, ha esclamato: “Mah, a me sembra che questa cosa non sia naturale”. Detto da un professionista come lui, è suonato come il migliore incentivo a proseguire lungo la strada intrapresa. Il secondo, lo scorso settembre, quando abbiamo trovato il monolito. “Là sotto – ci hanno detto i sub – c’è una pietra enorme con un buco in testa. Avete trovato quel che cercavate”. E poi, quando abbiamo visto i filmati, è stato pathos allo stato puro». (l.d.f)
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